LA PAROLA

Riccio

Si può paragonare un animale ad una caramella? Una di quelle con il guscio duro e un po’ ostico che non si finisce mai di scalfire con gli incisivi, fino a quando un fiume di dolcezza riempie le gote e impasta la lingua, magma di ripieno eruttante dall’incisione sapientemente scavata da denti esperti di bambino. Quel contrasto particolare fra solido e morbido può rammentare il comportamento di certe persone, un po’ ruvide all’apparenza, ma che una volta conosciute a fondo, messe a loro agio, rivelano di essere generose e comprensive.

Anche il riccio è così: aculei spinosi su dorso, ma un musetto simpatico e ricoperto di peluria soffice, il nasino umido e gli occhietti vispi. Questo minuto abitante del bosco fa lo stesso effetto, nascondendo sotto la corazza acuminata un aspetto adorabile e un carattere placido e solitario, non amante della compagnia degli altri suoi simili. Dalla dieta molto varia, ghiotto di frutta, passa gran parte del tempo in letargo per combattere il freddo dell’inverno con la sua riserva di grasso, messo su appositamente e, quando è sveglio e di notte, percorre molti chilometri sulle piccole zampette tozze alla ricerca di cibo. Sapevate che le spine disseminate sul suo dorso per tutta la sua lunghezza sono peli? Eh sì, ma hanno l’aspetto di spilli acuminati grazie alla cheratina, presente anche nel corpo umano, nelle unghie o nei capelli. Grazie a questa inespugnabile barriera, il riccio non solo si difende dai pericoli esterni creando una pallina altamente rischiosa per i predatori della foresta che vorrebbero, diciamo così, “conoscerlo meglio”, ma si protegge anche dalle cadute; c’è da tenere però in considerazione che gli aculei sono una parte molto delicata del suo battagliero corpicino, soprattutto negli esemplari più giovani, e potrebbero tendere a danneggiarsi se colpiti con forza.

Sui social è esplosa, già da un po’, la moda di postare video in cui si coccola il proprio riccio con grattatine di spazzolino sulla pancia o bocconcini prelibati. Avere un animale del genere come compagno domestico è un’abitudine dilagante soprattutto negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei che seguono a ruota lo stile americano, ma va specificato che qui in Italia queste creaturine selvatiche non si possono tenere come cucciolo, a meno che non si tratti di un breve periodo, soprattutto nei giorni più freddi quando un esemplare potrebbe patire il gelo e morire d’inedia. La tipologia del riccio africano, però, a quanto pare è legale anche nel nostro Paese perché considerata una specie esotica e detenibile.

Per chi volesse adottare uno di questi carismatici animaletti spinosi, è fondamentale sapere che un animale del genere è di gran lunga differente da un cane o da un gatto; possiede abitudini diverse dalle nostre, è un notturno e quando noi svolgiamo le attività sotto i raggi del sole, lui si riposa tranquillo nella tana; ha bisogno di molto spazio per potersi muovere perché, a differenza di quanto si potrebbe immaginare, il riccio è un gran camminatore! Chiuderlo in una gabbia è decisamente da escludere, sarebbe una cattiveria nei suoi confronti e vivrebbe di sicuro infelice, risentendone anche nella salute.

Senza pronunciarsi né a favore né contro questa recente moda, che ha rimpolpato per bene le tasche dei vari allevatori di questa specie, è da tenere presente che, come ogni altro essere vivente, l’amico spinoso va rispettato e non trattato come un giocattolo, ma accudito al meglio e come necessita. Ogni animale è una responsabilità e quando si prende la decisione di legarsi ad un cucciolo, coniglietto o stallone che sia, prima ne vanno analizzate bene le conseguenze e il tempo a disposizione per lui, al fine di evitare atti vergognosi come l’abbandono.

Un fenomeno che, oltretutto, ingrossa il numero degli incidenti stradali, nei quali spesso sono coinvolti anche animali selvatici di piccola e grossa taglia, che provocano la morte degli animali stessi e, in diversi casi, anche delle persone. L’Osservatorio ASAPS (Associazione degli Amici della Polizia Stradale) scrive che, nei primi mesi del 2017, sono stati almeno 10 i decessi per l’impatto con le bestie e che almeno 91 persone sono finiti in ospedale in seguito alla collisione. Forse una maggiore responsabilità verso gli animali e una maggiore attenzione alla guida può, oltre agli umani, salvare altre, pur piccole, ma inestimabili vite.

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