ATTUALITÀ DIALOGARE IN PACE VISIONI

Ritratto di un’Italia arrabbiata e rancorosa

foto Michele D’Ottavio

Come direbbe oggi un Marx redivivo, un fantasma si aggira per l’Italia. La sua opera, il Manifesto del partito comunista, pubblicato nel 1848, si apre proprio con l’apparizione di uno spettro, quello del comunismo “che si aggira per l’Europa”. Il che non deve stupire, visto che il filosofo adorava Shakespeare, un grande evocatore di spiriti, nelle sue opere. Centosettanta anni dopo, l’Europa teme altri fantasmi, uno per ogni Paese dell’Unione: in Francia indossano il gilet giallo della protesta contro tutto e stanno facendo tremare il potere di Emmanuel Macron, protagonista di una scalata elettorale senza precedenti e, fino a poche settimane fa, considerato il “bambino prodigio” della politica continentale.

Il presidente francese è già “vecchio”. E ciò dimostra, anche agli italiani, quanto sia effimero il potere nella società fluida, che porta in trionfo i leader di turno per poi distruggerli in men che non si dica (ne sa qualcosa l’ex segretario del pd, Matteo Renzi, ne stanno cominciando a sentire le avvisaglie i vicepremier pentaleghisti Matteo Salvini, nonostante le sue adunate semiocenaiche, e Luigi Di Maio). Il fantasma che scorrazza per l’Italia però non è quello giallo d’Oltralpe. Semmai aleggia con le modalità descritte dall’ultimo Rapporto – il 52esimo – del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis), appena diffuso, che mostra il trionfo del rancore provocato dal pantano politico in cui il Paese si dibatte e, scrive il Centro Studi, dalla «delusione per lo sfiorire della ripresa e per l’atteso cambiamento miracoloso».

È un quadro molto nero quello che emerge: nella seconda parte – La società italiana al 2018 – gli italiani vengono descritti in preda a «una sorta di sovranismo psichico prima ancora che politico», che «talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria – dopo e oltre il rancore – diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare». Ne sappiamo qualcosa noi frequentatori di blog e di social network.

Dentro il mirino dell’odio di massa – con il contributo di partiti nazionalpopulisti che cavalcano l’onda e la rendono più impetuosa – ci sono prima di tutto i migranti e i rom, scrive il Censis. Nella storia, l’attacco alle minoranze non è un fenomeno nuovo, soprattutto in periodi di crisi morale e/o economica. Però, oggi, il subconscio razzista degli italiani è consapevolmente ed esplicitamente esibito, con un’irruenza cui non si assisteva dai tempi delle leggi razziali fasciste, varate più di 80 anni fa.

Cosicché due italiani su tre vedono con negatività l’immigrazione extra Ue; i più arrabbiati trionfano nelle categorie fragili: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78% dei disoccupati, mentre il dato scende al 23% tra gli imprenditori. Il 58% ritiene che gli immigrati sottraggano posti di lavoro, il 63% che rappresentino un peso per il sistema assistenziale; soltanto il 37% sottolinea il loro effettivo apporto positivo per l’economia e la previdenza sociale. Infine, per il 75%, l’immigrazione aumenta il rischio di criminalità e il 59,3% esclude la possibilità di raggiungere un buon livello di integrazione tra etnie e culture diverse, nei prossimi dieci anni.

Secondo i ricercatori del Censis, questa rabbia, che sconfina nella cattiveria gratuita, spiega anche il successo delle politiche populiste e anti-Unione europea. Sono «dati di un cattivismo diffuso che erige muri invisibili, ma spessi». Inoltre, rispetto al futuro, il 35,6% degli italiani è pessimista, deluso e impaurito, il 31,3% è incerto, soltanto il 33,1% è ottimista. Un fenomeno comune a molti Paesi della Ue, ma che in Italia appare più accentuato, nonostante sia ancora compresso dal tappo dell’illusione che i prestigiatori dilettanti al Governo tirino davvero fuori la bacchetta magica.

È legittimo chiedersi come reagiranno gli elettori, divisi più o meno in tre parti. Per quanto tempo quell’italiano su tre (al netto degli elettori non votanti) che alcuni mesi fa ha votato i partiti oggi al potere possa rimanere imbambolato, seppur incazzato e rancoroso, in attesa del colpo di bacchetta magica, che non arriverà mai? Ancora più enigmatica è la capacità di resistenza allo stress da parte di quel cittadino su tre che non ha votato durante le scorse elezioni. Pure l’altro italiano su tre (poco meno) che ha votato i partiti oggi all’opposizione può sentirsi frustrato dal fatto che la suddetta opposizione di fatto viene fatta poco e male, mentre si trascorre più tempo a discutere su beghe interne (ai limiti del masochismo), piuttosto che sull’analisi dei clamorosi errori passati e sulla progettazione di un nuovo cambio della guardia.

In tutti i casi, preoccupa non tanto la possibilità di un contagio da parte dei “gilet gialli” d’Oltralpe: i francesi condividono con noi molte frustrazioni, però hanno nel Dna la presa della Bastiglia e la ghigliottina, non il Gattopardo. Ad angosciare, semmai, la sempre più estesa disaffezione nei confronti delle urne e del sistema della rappresentanza. Perché è vero che nei seggi elettorali si può scegliere in modo opposto al voto precedente: durante gli ultimi 4 anni la fluidità del consenso nell’era del web ha già dimostrato che un partito (il Pd) può più che dimezzare i voti, mentre un altro (la Lega) può triplicarli o quadruplicarli. Tuttavia è pure vero che lo spettro peggiore potrebbe essere quello del crollo strutturale degli equilibri democratici, causato dalla latitanza di massa in occasione delle prossime elezioni. Perché, vista la situazione, altri presto potranno convincersi del fatto che davvero “i politici sono tutti uguali” e quindi non serve votare.

Se voterà solo un italiano su due, per fare un’ipotesi solo apparentemente pessimistica, che cosa sarà del governo del Paese? Chi sarà “nominato” da un elettorato minoritario rispetto ai non votanti? Quali altre fonti di rabbia e rancore si innescheranno tra gli autoesclusi? La reazione necessaria, da parte di tutti i partiti e dei cittadini non ancora obnubilati dal “rancorismo” e dal masochismo, deve essere quella di offrire alla discussione prospettive realizzabili, civili e democratiche. Certo, in questo clima non è facile discutere pacatamente. Perché, dopo migranti e rom, nella graduatoria dell’odio e dell’insulto, gli adpeti più focosi dei “santoni del cambiamento” aggiungono – appena un gradino sotto – gli “eretici”, quelli che all’annunciazione del suddetto cambiamento, sempre imminente e quasi immanente, non credono. Ma quando il gioco si fa duro, come è noto, i duri devono cominciare a giocare.