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Romanzi puri e romanzi meticci

Fatevi un giro: le librerie italiane sono piene di romanzi d’amore. Dice che un libro vende di più se nel titolo (nel titolo!) c’è la parola “amore” o la parola “cuore”. E allora via con la passione metropolitana. Andrea ama Lucia che primo lo ama e poi non lo ama più perché è arrivato Stefano ma Stefano ha un segreto e al liceo Domitilla gli ha dato un bacio e allora Andrea è triste e si vorrebbe suicidare ma Lucia torna perché Stefano ha una nuova fidanzata di un altro liceo che si chiama Deborah. Piccoli Moccia crescono.

Romanzi “ariani” a bizzeffe. Ma io no, io sono del partito di Georgi Gospodinov e del suo alter-ego Gaustìn, dal quale l’altro giorno ho scelto una frase, quella intitolata Antirazzismo letterario: «non mi interessano i generi puri. Il romanzo non è ariano». Che noia! Ecco: mi interessano invece i romanzi “meticci”, i “mezzosangue”: quelle narrazioni che intrecciano cronaca, giornalismo, storia e racconto.

Solo i più grandi possono pascolare in queste verdi praterie. Mi viene in mente Svetlana Alexievic, che qualche anno fa ha osato conquistare il Premio Nobel per la letteratura con le sue inchieste sulla Russia di oggi e l’Unione sovietica di ieri. Uno sconvolgente diario in prima persona, un coro sommesso e disperato di migliaia di anime morte.

Mi viene in mente Victor Serge con Il caso Tulaev, un antico romanzo verità che strappa la pelle. Mi viene in mente L’epigramma a Stalin di Robert Littell, in cui si racconta la vita e la tortura e la morte di Osip Mandelstam. Una cronaca così straziante e vera che ti verrebbe voglia di entrare dentro il libro, prenderlo per mano – questo grande e indifeso poeta – e portarlo in salvo: via dal gulag, via dalle torture, via dalla fame, via dal silenzio delle parole.

Tutti russi? Per gli altri “meticci” bisogna attraversare un oceano e ficcare l’ancora nella risacca centro-sud-americana: un intero continente di “mezzosangue”. Nessuno racconta la sanguinosa ottusità della dittatura argentina come Rodolfo Walsh in Operazione massacro. E nessuno descrive il sogno e la tragedia di chi fugge verso l’America di Trump come Oscar Martinez con il suo La bestia.

Mi accorgo che non è solo letteratura. Gli “ariani” non mi piacciono in tutti i sensi. Dagli ariani, dai puri, sono venute al mondo solo sventure e tragedie. Per restare agli ultimi decenni, e non scomodare il Fuhrer e i campi di sterminio, non furono i puri montanari serbi e croati a mettere a ferro e fuoco i Balcani, a schiantare le ossa a Sarajevo, a scavare le fosse comuni di Srebrenica? Ariani biondi e ariani scuri, occhi azzurri e occhi neri, sangue puro e pulizia etnica.

Amo invece i meticci, i sangue misto, i mulatti della pelle e dell’anima. Dalla contaminazione viene la musica e la pittura, l’amore e la tenerezza, la poesia e la tristezza, il passo incerto nelle sfilate, la risata sgangherata, la parolaccia e l’ironia, il dio che perdona, il sesso allegro e l’incerta discendenza, la danza in coppia e in gruppo, il tango nelle balere, il vino buono e la tavola apparecchiata a cui tutti i vicini sono invitati.

I meticci non sono visti di buon occhio, oggi, nella nostra sfortunata patria. Si vuol far da soli, e rimandare indietro i nuovi arrivati. A calci in culo, dice qualcuno. Da qualche anno una tristezza cattiva scorre nelle nostre vene come un fiume di acque sporche. I nostri “montanari” sono pronti a scendere nelle città peccaminose per fare pulizia.

I nostri “montanari”, gente ruvida, vogliono essere padroni a casa propria. Sono ariani di seconda scelta, i nostri “montanari”. Il Fuhrer, al solo vedere quei ceffi, li chiuderebbe tutti nei vagoni piombati. Ma si sa, anche i nostri “montanari” vengono da fiumi diversi, anche se rivendicano le pure acque del Po. E noi lo sappiamo per esperienza: non c’è gente più triste e cattiva di chi rinnega le sue origini, di chi si inventa un albero genealogico fiorito, di chi si pittura la faccia di bianco e si liscia i capelli con il ferro rovente.

Io, con Gaustìn, sono di quegli altri. Di quelli che non amano i romanzi ariani né le sfilate militari dei buoni, né le ruspe contro i brutti sporchi e cattivi, né le classi ordinate, la maestra severa e i disturbatori negli ultimi banchi. Noi siamo di quelli che si mescolano perché amano viaggiare, di quelli «mi casa es tu casa», di quelli che parlano le lingue di tutto il mondo, anche a gesti. E abbiamo, noi, una certezza: il romanzo ariano è così noioso che presto – si spera – passerà di moda.

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