LA PAROLA

Salute

“La mia salute”… “la nostra salute”: la dea Salute, divinità romana, abita un territorio vasto. Assume aspetti peculiari del singolo e connette gli esseri viventi tra loro e con l’ambiente che li circonda. La parola salute è complessa e la sua definizione è variata molte volte nel corso della storia, subendo modifiche e ampliamenti, e cambia anche nel corso della vita individuale. Non rispecchia un concetto statico, ma è dinamica e processuale.

Dalla prospettiva organicistica ottocentesca, che vede la salute come mera assenza di malattia, alla famosa formulazione dell’OMS del 1948 che rovescia questa definizione dualistica negativa per darne una positiva, ovvero salute come stato di totale benessere fisico-psichico-sociale, fino alla Carta di Ottawa degli anni ’80, in cui l’OMS non definisce più la salute come un punto d’arrivo finale, ma come un potenziale da sviluppare sia individualmente sia nelle comunità.

Il cammino non finisce qui. Oggi, da più parti, si chiede il superamento di tutto ciò: la salute non è solo assenza di infermità e disagio né uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale.Altrimenti che dire di tutte le persone invalide, che certo non vivono una condizione di totale benessere, ma che non possono neppure venir considerate malate croniche, nel momento in cui riescono ad affrontare e gestire la difficile situazione in cui si trovano? E che dire di chi vive su una sedia a rotelle e, nonostante la sua infermità, è capace di sperimentare momenti di relativo benessere? Il mondo è forse interamente popolato di non-sani, dato che nessun essere vivente può godere di tanta assoluta perfezione?

Il concetto di benessere è molto ambiguo; essere in uno stato di completo benessere cosa significa? che l’uomo vive al top contemporaneamente in tutte le molteplici dimensioni: fisica, morale, psicologica, sociale, spirituale, ecologica,…? Una tale simultaneità, secondo alcuni utopistica, senz’altro irrealistica, cosa rappresenta allora? Una tendenza? Una propensione? O forse nella nostra cultura gli unici criteri di benessere che contano sono la sanità fisica ovvero il vigore, la prestanza, l’energia, la floridezza e la condizione economica agiata ovvero la prosperità, l’abbondanza, la larga disponibilità di beni di consumo? Non è un caso se, nel vocabolario Treccani, benessere per estensione è ricchezza, opulenza, fortuna, lusso, appagamento, contentezza, gioia, tranquillità, serenità, felicità, pace. E malessere per estensione è insoddisfazione, indigenza, bisogno, miseria, penuria, povertà, ristrettezza, squallore, scontentezza, inquietudine, sofferenza.

Non è dissimile l’impostazione degli altri vocabolari (Hoepli, Garzanti, Devoto-Oli, Wikidizionario): il benessere viene sempre inteso come una condizione economica florida a cui si abbina una buona salute fisica. Non si fa cenno al fatto che il benessere consiste nella possibilità concreta di trasformare la vita in esistenza, cioè permettere la compiuta realizzazione della persona e della comunità, un processo che descrive bene l’immagine della piena fioritura dei semi, del loro sbocciare, una compiutezza e una completezza.

Legare insieme salute e benessere porta con sé legare insieme anche malattia e malessere. La psichiatria sa bene, infatti, come la condizione di completo benessere possa essere sintomatico di stati che denotano una salute compromessa molto seriamente. Diventa un’impellente necessità svincolare l’idea di salute da quella di benessere. Una buona condizione di salute può comprendere in sé stati di benessere o di malessere che si alternano, si rincorrono, confliggono, convivono in un processo dinamico ininterrotto. C’è poi da aggiungere l’auto percezione del singolo o delle collettività, che cambia non poco nei vari momenti della vita.

Non si è fatto ancora alcun riferimento al vissuto emotivo individuale o collettivo né al livello di soddisfacimento per la propria vita. Figurarsi poi al piacere di viverla, sia che questa sensazione appartenga a una persona sia a un’intera comunità! Quali coordinate, allora, per una definizione epistemologicamente più corretta? Attualmente emerge in maniera prepotente un’idea di salute come adattamento rispetto all’ambiente vivente e non vivente, che circonda l’uomo e la sua specie, salute come gioco interattivo tra il soggetto e i vari contesti e tra i vari contesti e il soggetto, una relazione complessa, un equilibrio dinamico in divenire. La salute, cioè lo stare e il vivere bene, viene percepita come una condizione di armonia e di equilibrio che coinvolge tutti gli aspetti dell’essere umano con se stesso, con gli altri esseri umani e non umani, con l’ambiente circostante, risultato di un processo di adattamento ai molteplici fattori che incidono sullo stile di vita. Si ha la consapevolezza di maneggiare una nozione in costante evoluzione, non misurabile, sfuggente, complessa come lo è la vita.

Salute non come meta raggiunta o da raggiungere una volta per tutte, non come luogo ideale senza negatività, non come stato fisso e permanente, ma come processo consapevole individuale e collettivo di costruzione delle condizioni esterne e interne per stare bene col mondo, nel mondo e attraverso il mondo.

«La salute è la capacità di adattarsi a un ambiente che cambia, la capacità di crescere, di invecchiare, di guarire, in caso di necessità di soffrire e di aspettare la morte in pace. La salute tiene in considerazione il futuro, cioè suppone l’angoscia e contemporaneamente le risorse interiori per vivere con l’angoscia e superarla» (Ivan Illich, Nemesi medica, 1976). La capacità quindi di affrontare il normale corso della vita, fatto anche di sofferenza e di morte, aspetti lontani mille anni luce dal benessere che oggi fa da protagonista incontrastato su tutte le ribalte e riempie come una chimera le aspettative dei più!