LA PAROLA

Sciara

«Le stelle splendevano lucenti anche sulla sciara, e la campagna circostante era nera anch’essa, come la sciara».

Giovanni Verga

La parola sciara, formata con sovrapposizione formale e semantica dell’arabo ša῾ra “terreno sterile e incolto, sodaglia”, su un derivato del latino flagrare “ardere”, significante “lava incandescente”, è passata poi a denominare la “lava indurita”, l’esito del materiale eruttivo, ormai raffreddato e solidificato.

È un vocabolo della Lingua Siciliana, usato nella zona etnea per indicare gli accumuli di scorie vulcaniche, che si formano sulla superficie o ai lati delle colate laviche. Esso ha dato origine anche a toponimi come Sciara, comune della provincia di Palermo, e Sciara del Fuoco, nome di un ripido pendio, formato da lava, lapilli e scorie incandescenti, emessi dal cratere dello Stromboli. La sciara scende fino al mare ed è limitata ai lati da due scogliere: il Filo del Fuoco a nord-est e il Filo di Baraona a sud-ovest. Si trova nell’isola eoliana di Stromboli, sull’omonimo vulcano, che per gli stromboliani è semplicemente “Iddu”.

Gli antichi lo chiamavano Faro del Mediterraneo poiché illuminava le notti dei naviganti, grazie alle lingue di fuoco che contraddistinguevano le sue eruzioni, visibili anche dalle coste calabre.

La mitologia classica narra che all’interno del vulcano si trovasse la fucina di Efesto, abile fabbro degli dei, figlio di Hera e Zeus, divenuto storpio poiché fu scaraventato dal padre, durante un litigio con la moglie, dalla cima del monte Olimpo.

Sulle sue pendici si possono contemplare dal mare, possibilmente al tramonto e poi di notte, per goderne meglio i contrasti, quei rivoli incandescenti dal rosso vivo, come strade purpuree nelle tenebre, che formano lo spettacolo della Sciara del Fuoco. Da quell’’ampia parete di sabbia vulcanica elevantesi, ripida sul lato nord-est dell’isola, i blocchi incandescenti precipitano, rotolando, in un turbinio di ceneri e vapori, che scompaiono nel mare.

Di giorno, nelle giornate di sole, la sciara è scura e maestosa e spicca nei diversi toni dell’azzurro del cielo e della superficie cristallina delle acque, in un silenzio irreale, turbato appena dai tonfi dei massi lavici, che sollevano spume bianche come ninfe degli abissi.

Questo spettacolo incomparabile, l’asprezza della natura e le difficili condizioni di vita degli isolani nel secondo dopoguerra non mancò di inscriversi profondamente nell’immaginario di un maestro del Neorealismo italiano, Roberto Rossellini, il quale, proprio nell’isola realizzò nel 1949 Stromboli – Terra di Dio.

Fu il primo film del regista girato con Ingrid Bergman, l’attrice che gli aveva inviato il celebre messaggio, nel quale gli confessava di saper dire in italiano soltanto «ti amo». A lungo i due soggiornarono sull’isola, trasformata in un set cinematografico en plein air, in una casa rosa, testimone dei primi tempi del loro amore.

Ancora oggi chi si reca a Stromboli può vedere, all’esterno di quella casa, la targa commemorativa del soggiorno di Ingrid e Roberto, di quel connubio sentimentale ed artistico iniziato sull’aspra e bellissima terra della Sciara del Fuoco.

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