LA PAROLA

Scudetto

Poeti, santi, navigatori, eroi e… calciofili accaniti gli italiani. A discettare oggi, tutti o quasi, nei bar, della Juve tricolore. Settimo scudetto di fila, la squadra delle meraviglie, della dinastia degli Agnelli, di una formazione e di una società figlie di una potenza economica senza eguali, ecc. ecc. Chi gioisce, chi rosica, chi si lamenta, chi spera che in futuro chissà…: la passione pallonara non conosce limiti e confini. Anche se, di questi tempi, la realtà, lascia ben poco spazio alla fantasia. Italia, Spagna, Germania, Olanda, (Inghilterra no, ma quasi): vincono sempre quelli e spesso con distacchi abissali.

Ma di cosa parliamo esattamente? Di un piccolo distintivo a forma di scudo. Quello tricolore che, cucito sulla divisa d’appartenenza, caratterizza gli atleti campioni d’Italia. Vincere lo scudetto, dunque, è l’ambizione principe di chi in campo ci va e di chi è sportivo da bar o alla televisione. Volley (Perugia) e calcio hanno già dato, tra poco toccherà al basket e al rugby. Ogni campionato ha la sua storia e le sue regole per conquistare lo scudetto.

Si racconta che fu il Vate, Gabriele D’Annunzio, a “inventare” lo scudetto: in occasione di un’amichevole disputata da una selezione italiana militare, fece apporre tale distintivo sulle maglie per la prima volta. Lo scudo tricolore, simbolo dell’unità nazionale, s’indossa sulla maglia la stagione successiva la vittoria del campionato. Per rimanere al mondo del pallone, fu il Genoa nella stagione 1924-25 a conquistarlo (nella foto la squadra con la maglia e il tricolore all’inizio del campionato seguente).

La forma era quella attuale, ma lo scudetto era sormontato dalla corona dei Savoia ed era identico alla bandiera d’Italia dell’epoca: inglobava cioè nella sezione bianca lo stemma sabaudo, una croce bianca su sfondo rosso.

A partire dalla stagione 1927-28, e sino al 1943, lo scudetto fu rappresentato dallo stemma sabaudo affiancato al fascio littorio; il fascismo, dalla stagione 1936-37, retrocesse lo scudo tricolore a simbolo della vittoria in Coppa Italia. Ma dopo la guerra, quando il pallone riprese a rotolare assieme alla democrazia, lo scudetto tornò subito a essere simbolo dei campioni d’Italia. Senza, ovviamente, lo stemma sabaudo. E così via fino ai giorni nostri.

Come la mamma, la pasta, Sofia Loren (ognuno aggiunga il “mito” che più gli aggrada), lo scudetto da allora è rimasto sacro, intoccabile, inafferrabile per i più. Tranne che per gli juventini, almeno negli ultimi sette anni.