ATTUALITÀ IL PERSONAGGIO STORIE

Si chiamava Aspremo

Nello Bracalari è stato una staffetta partigiana quando aveva appena 15 anni. Oggi, che di anni ne ha 91 anni, scrive i ricordi di quel periodo, con mente lucida e memoria infallibile. Ecco la storia dell'amico Aspremo, morto in conseguenza dell'internamento in un campo di prigionia tedesco
Foto: Anpi Grosseto

Nello Bracalari, classe 1928, grossetano, staffetta partigiana, a 15 anni, dopo l’armistizio dell’8 settembre, è uno degli ultimi partigiani ancora in vita, in grado di raccontare, con straordinaria lucidità e ricchezza di particolari, episodi legati alla Resistenza. In sedia a rotelle, era in prima fila, insieme all’Anpi (di cui è stato presidente per la sezione grossetana), a celebrare la Liberazione lo scorso 25 aprile, nella sua città. Ancora oggi con la sua mente vivida e pronta, la passione e il senso di giustizia che lo hanno animato per tutta la vita, si batte per i valori che hanno improntato la Resistenza e più tardi la stesura della Costituzione: antifascismo, libertà, democrazia, lavoro, pari dignità e diritti per ogni persona che calpesti il suolo italiano. Nei giorni intorno alla Festa della Liberazione, ha scritto questo ricordo e lo ha condiviso con gli amici: la storia di Aspremo, amico e compagno, morto che non aveva ancora quarant’anni in conseguenza delle sofferenze patite in un campo di prigionia tedesco. TESSERE lo ripropone ai propri lettori, perché sia 25 aprile tutto l’anno. Grazie Nello.

Si chiamava Aspremo, era il maggiore di tre fratelli che abitavano al podere “Follona” il più vicino a quello dove abitavo io. Era 5 anni più grande di me e 4 di suo fratello di nome Schimens, mio amico e compagno di scuola alle elementari. Spesso, specie nelle veglie che nel periodo invernale venivano organizzate a rotazione nei poderi di campagna, ci dedicava un po’ del suo tempo nei giochi di noi ragazzi.

A ventanni partì per il servizio militare e l’8 settembre 1943, dopo l’armistizio, fu catturato dai tedeschi e internato nei campi di concentramento in Germania. Quando venne costituita la Repubblica di Salò e gli fu offerto di andare a servire il ricostituito esercito fascista rifiutò e rimase internato nei campi sopportando indicibili condizioni di vita.
Alla fine del conflitto non fece immediato ritorno. Passarono mesi senza che se ne sapesse nulla e si cominciava a dubitare della sua sorte.

Verso la fine dell’estate, camminavo sull’Aurelia verso la stazione di Gavorrano, una passeggiata pericolosa su una stretta banchina, perché sulla strada sfrecciavano ancora i mezzi militari delle truppe alleate. A un tratto vidi, dall’altra parte della carreggiata, un giovane che veniva in senso opposto e mi faceva segni di saluto. Non riuscivo a capire chi potesse essere. Appena possibile attraversai e gli andai incontro ma stentavo a riconoscerlo. Giunti a pochi metri di distanza con un largo sorriso mi gridò «Nello sono Aspremo» e io corsi ad abbracciarlo.

Nello Bracalari – Foto: Il Giunco.net

Le sue condizioni lo rendevano irriconoscibile. Dalla camicia aperta si intravedevano evidenti le costole, come fosse uno scheletro ed a me pareva che persino in altezza fosse rimpicciolito (giunto a casa si pesò: era 38 kg). Mi raccontò brevemente che si era ammalato nel campo di concentramento e alla fine della guerra, per molto tempo, non era stato in condizioni di camminare e rientrare in Italia Dopo questa dura prova, Aspremo si riprese in parte fisicamente, si sposò ed io partecipai alle sue nozze. Pochi anni dopo però, in occasione di una riunione sindacale nel paese di Caldana (Gr) fui informato che proprio quel giorno Aspremo era morto e potei andare a rendere omaggio alla sua salma. Credo che non avesse ancora quarant’anni.

Aspremo non fu il solo a scontare, in conseguenza delle sofferenze patite nei campi di concentramento tedeschi, ripercussioni drammatiche nella sua vita successiva (lo fecero in 650 mila su 800 mila nelle sue stesse condizioni) e credo che in generale non vi sia stato nei loro confronti il dovuto riconoscimento. In questi giorni mi piace ricordarli come combattenti della Resistenza antifascista.