LA PAROLA

Sigaro (Toscano)

Il sigaro toscano è stato, in passato, la prima colazione di contadini, barrocciai, spaccapietre, muratori e la sua fortuna è stata quella di aver incontrato il gusto e soddisfatto le tasche delle classi più umili. È stato, in seguito, apprezzato anche tra i ceti sociali più elevati ma è indubbio che il suo aroma aspro e inconfondibile riporti alle radici di una civiltà contadina, espressione di una Italia povera e parsimoniosa, che aveva anche l’abitudine di conservare religiosamente i mozziconi nel panciotto o di mettere le cicche ben pulite tra la biancheria a difesa delle tarme. Ecco come si spiega il grande successo che ha avuto il Toscano, tanto che ben presto si estese la sua produzione. Se il suo esordio, avvenne nella manifattura tabacchi fiorentina, dove costituiva la produzione principale, a un certo punto, per far fronte alla domanda, si dovette esportarne i metodi di lavorazione in altri stabilimenti. Da Firenze, dove il Toscano era prodotto fin dal 1818 e dove, sessant’anni dopo, nel 1868, se ne fabbricarono 140 milioni di pezzi, la lavorazione di quel sigaro fu esportata anche a Lucca.

La nascita del sigaro, tuttavia, risale a oltre due secoli fa, per la precisione nella torrida estate del 1815. In quel periodo, nel cortile della manifattura dell’ex convento di Santa Caterina a Firenze era stata ammassata all’aperto una gran quantità di tabacco Kentucky. Inaspettato e violento arrivò un temporale estivo che inzuppò la montagna di foglie di tabacco fino all’ultimo strato. Prima di buttare via tutto si decise di lasciar fare alla natura il suo corso, il sole avrebbe asciugato il tabacco e, una volta seccate, le foglie avrebbero assolto nuovamente il loro dovere. Ma non tutto andò come previsto, anziché asciugarsi il tabacco prese a fermentare e quell’odore, per così dire, di “andato a male” impregnò il tabacco tanto che tutti pensarono non ci fosse più niente da fare.

Il direttore della manifattura non se la sentì di rischiare: come avrebbe potuto spiegare l’incidente e quali ne sarebbero state le conseguenze? Prima di decidersi a buttar via il tabacco, quindi, lo fece fermentare ulteriormente, lasciando che le sue foglie scure ribollissero ancora. Poi, anziché farle asciugare sotto i raggi del sole – cosa che le avrebbe sbriciolate – ordinò si procedesse con lentezza, a gradi, senza fretta, preoccupandosi semmai di dividere le foglie grandi dalle piccole e le migliori dalle peggiori, in modo che le prime potessero essere utilizzate per l’involucro e le seconde per la polpa. Forse non ne sarebbero venuti fuori dei sigari sopraffini, ma vendendoli a basso prezzo nei quartieri d’Oltrarno, dove vivevano e lavoravano gli artigiani e la gente del popolo, li avrebbero comunque comprati. L’idea si rivelò geniale ed ebbe gran successo. Al di là di ogni più rosea previsione quei sigari stortignaccoli e poco aggraziati ma molto forti furono accolti con entusiasmo, non solo perché costavano poco, ma perché piacevano molto per l’intenso aroma assai indicato per rudi palati.