LA PAROLA

Spalla

Ne abbiamo solo due e fortunatamente. Altrimenti dovremmo sbaraccare l’intero piano di un capiente scaffale per ospitare il grande tomo dei luoghi comuni che raggruppano le nostre povere spalle.

Il sostantivo spalla di regola si utilizza al plurale ma nessuno si fa scrupolo di praticarlo in ogni forma: diminutiva, vezzeggiativa, accrescitiva. Chi non ricorda infatti le spalline decorate dei militari o quelle che reggono décolleté di desiderabili fanciulle e chi non lesina spallucce di fronte agli spalloni, rudi trasportatori di merce di contrabbando. E infine perfino mister Spalletti che, nella fattispecie, sarebbe un intruso ma – si sa – il pallone non si può mai lasciar fuori. Non fosse altro perché la spallata, nei contrasti in campo, è ammessa come il colpo di spalla purché non si invada la zona franca, tra la scapola e l’omero, dove inizia il territorio vietatissimo del fallo di mano.

Di solito con le spalle ci si gioca anche la reputazione: così è costume onorare chi ha la testa sulle spalle mentre viene considerato persona inaffidabile quel pettegolo/a che usa parlare alle spalle del prossimo o peggio ancora quel violento/a che addirittura non si fa scrupolo di pugnalare alle spalle. Tutta roba da guardarsi alle spalle o addirittura da difendersi strenuamente disponendosi con le spalle al muro. Magari sperando di smorzare i contrasti e non finire col proprio nome e cognome in un titolo di spalla nelle pagine di cronaca nera del giornale locale.

Se dovesse accadere meglio guadagnarsi un trafiletto per la nostra generosa offerta di una spalla a chi ne ha bisogno, ovvero il contrario dell’oggi assai più consueto voltar le spalle magari dopo aver raccolto prebende e benefici. Un modo veramente biasimevole di lasciarsi un’esperienza alle spalle.

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