Negli ultimi 10 anni in Italia 1.740 donne sono state uccise dal partner o dall’ex partner e 2.333 sono state stuprate. Due volti della stessa medaglia, la violenza del maschio sulla femmina, rispetto alla quale però valgono due pesi e due misure: nelle mura domestiche, dove c’è l’uomo che dovrebbe amarti, non vale la stessa indignazione provata per quanto è avvenuto a Rimini il 25 agosto scorso.
Stupro, dal latino stuprum: onta, disonore. Femicidio o femminicidio: la prima parola è un adattamento dell’inglese femicide, per la seconda dobbiamo risalire allo spagnolo parlato nel Centroamerica, che parla di feminicidio. Ma oltre l’etimologia qual è la vera e concreta differenza nelle nostre risposte alle violenze sulle donne?
Certo, nel primo caso non c’è la morte. Eppure lo stupro – e ce lo insegna il caso della brutale aggressione avvenuta a Rimini nella notte tra il 25 e il 26 agosto ai danni di una giovane turista polacca e di una transessuale peruviana da parte di un gruppo di giovanissimi africani – riesce a calamitare la nostra attenzione più di quanto avviene, quotidianamente, di fronte a un femicidio, che è un omicidio di genere: la donna viene uccisa in quanto donna.
Lo stupro, che mantiene di fatto inalterato nelle nostre menti il suo significato latino, ci indigna e ci impaurisce perché può essere commesso da chiunque, è il male che può colpirci in qualsiasi luogo fuori dalle mura protettive della nostra casa, mentre facciamo una passeggiata, mentre siamo in vacanza – come è accaduto alla giovane polacca -, mentre rientriamo nella nostra abitazione dopo una serata con amici o parenti.
Il femicidio è invece l’estremo atto di violenza di chi conosciamo bene: il fidanzato, il marito, il convivente, l’ex partner; è qualcuno che fa parte della nostra vita, è il killer tra le mura di quella stessa casa che dovrebbe proteggerci e farci sentire al sicuro.
Essendo l’omicida una persona della quale dovremmo fidarci da un lato potenzialmente respingiamo semplicemente l’idea che possa accadere a noi, dall’altro lato non ci confrontiamo pienamente con una realtà tragica: stupro e femicidio sono due facce della stessa medaglia, quella di una cultura patriarcale sopraffattrice, maschilista e misogina che continua a insinuarsi nella mente e nella vita di tutti noi, uomini e donne.
Antropologi culturali e femministe potrebbero ricordarci – dandoci subito una prima risposta – che in realtà esiste una distinzione fondamentale tra femicidio e femminicidio. Il primo è uccisione, il secondo è l’insieme delle violenze di genere – fisiche, psicologiche, economiche – che vengono esercitate dagli uomini sulle donne. In base a questa distinzione è evidente che lo stupro non è altro che una delle tante drammatiche manifestazioni del femminicidio, un esercizio di potere sul corpo della donna attraverso la violenza sessuale.
Un’aggressione di gruppo come quella di Rimini è capace di dare la stura, oltre alla nostra legittima indignazione, alle polemiche politiche più becere mentre di fronte a un femicidio ci spaventiamo, certo, ma non prendiamo atto fino in fondo della gravità del fenomeno come se fosse una terribile partita che si gioca in casa d’altri e non anche nella nostra casa. Titoli sui giornali e via, si passa – purtroppo – al prossimo, come dimostrano le statistiche.
Negli ultimi dieci anni – i dati provengono dall’Istat e dal ministero della Giustizia – nel nostro Paese sono state uccise dal partner o dall’ex partner 1.740 donne, nel solo 2017 siamo stati costretti a contare un omicidio ogni tre giorni. Contemporaneamente nello stesso periodo, tra gennaio e luglio, sono stati commessi 2.333 stupri, in quattro casi su dieci l’autore era uno straniero.
Il tema dell’immigrazione e dell’integrazione non è irrilevante rispetto al problema della differenza delle nostre reazioni. Nel caso di Rimini abbiamo potuto circoscrivere la gravità del fatto – lo stupro di gruppo è punito dal nostro ordinamento con pene che vanno da sei a dodici anni – a qualcosa che consideriamo estraneo: la violenza è stata perpetrata da quattro immigrati, di cui uno con il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Nel caso di un femicidio il nemico – il patriarcato – è semplicemente tra di noi.