LA PAROLA

Supercazzola

«Noo! Pàstene soppaltate secondo l’articolo 12, abbia pazienza, sennò posterdati, per due, anche un pochino antani in prefettura….senza contare che la supercazzola prematurata ha perso i contatti col tarapìa tapiòco».

La supercazzola, il nonsense per eccellenza, sdoganata dalla comicità geniale degli Amici miei di Mario Monicelli e diventata un vero e proprio cult negli anni successivi, tanto da entrare di diritto nello Zingarelli. «Parola o frase senza senso, pronunciata con serietà per sbalordire e confondere l’interlocutore», la definisce l’illustre dizionario della lingua italiana.

Pare che la supercazzola, o supercazzora come scrivono alcuni, sia stata inventata dal cantante e attore siciliano Corrado Lojacono, almeno è quanto sostengono il paroliere Alberto Salerno e il giornalista Mario Luzzatto Fegiz. Solo successivamente sarebbe stata ripresa nelle ormai mitiche uscite del conte Lello Mascetti-Ugo Tognazzi, che si divertiva a disorientare e sbeffeggiare l’interlocutore con frasi prive di senso logico, infarcite di termini inesistenti ma altisonanti, messi a caso, ma esposti in modo forbito. Frasi così perfette che l’ascoltatore finiva per fingere di aver capito e prendeva per vero quanto gli era stato detto. Lo stesso sostantivo supercazzola viene usato per la prima volta dal Mascetti nella indimenticabile scena del vigile, quando si rivolge seccato all’amico Necchi, dicendogli: «Senti, Necchi, tu non ti devi permettere di intervenire quando io faccio la supercazzola!».

Secondo quanto raccontava lo stesso Monicelli, in realtà, l’uso del nonsense linguistico  come mezzo per confondere (e sbeffeggiare) lo o gli ignari interlocutori sarebbe nato dal cabarettista Marcello Casco, che riusciva a sostenere, per diversi minuti, conversazioni prive di ogni senso logico, in particolare con chi rappresentava il potere costituito, carabinieri, soldati, pubblici ufficiali.

Andando indietro si trovano questi fantastici artifici linguistici anche in Boccaccio, Rabelais, mentre nel cinema e nel teatro, corre l’obbligo di citare Totò, Petrolini, Dario Fo.

Successivamente il modus è stato ripreso da comici italiani, tra i quali Teo Mammuccari e soprattutto Corrado Guzzanti, che usava i nonsense nelle sue surreali imitazioni dei politici italiani.

Sia come sia, dopo le celeberrime gag di Amici miei, il termine è entrato nell’uso comune ed è stato esteso per antonomasia a tutti i discorsi lunghi e contorti, ma che alla fine non dicono nulla.

«Ha fatto una supercazzola che non finiva più», si dirà introducendo l’esito, ad esempio, di una riunione inutile con il proprio capo.

«Guardi, guardi… Lo vede il dito che stuzzica? E brematura anche?». Da una parte il conte Mascetti, elegante nel suo cappotto cammello, dall’altra il disorientato vigile urbano, in mezzo gli amici che rischiano la multa per aver suonato il claxon, all’alba, in pieno centro a Firenze, su tutti la memorabile supercazzola che risolve la situazione.

Oggi come allora, la supercazzola è più viva che mai, resiste ai cambiamenti del mondo e della lingua. Basta ascoltare qualcuno dei nostri politici di primo piano. Rideremmo a crepapelle, se non ci fosse da piangere.