DAILY LA PAROLA

Taddarìta

Dalla musicale lingua siciliana, calda e piena di colori, la storia e il significato di "taddarìta": pipistrello, cravatta, farfalla. Ogni significato, una storia

Se, come si dice, una «rrìnnina (rondine) non fa primavera», di sicuro, non fa l’estate una taddarìta (pipistrello). Quest’ultima all’imbrunire, dopo il letargo invernale, riappare nell’aria, svolazza famelica, stride insistente radendo i tetti ed i lampioni a caccia d’insetti. «Stutàti ‘ssa luci! – intimavano nonne impaurite – Ca si trasi ‘intra, s’allìppa ‘nte cannarìni e ni suca u’ sangu (Spegnete quella luce! Che se entra in casa s’attacca alle carotidi e ci succhia il sangue)». Antiche e surreali fandonie che incutevano paura, anche se nel migliaio e passa di specie, ne esiste una, diffusa in America, chiamata vampiro, che attacca il bestiame e per nutrirsi, pare salassi i malcapitati.

La parola taddarìta, intesa anche come fraffàlla, riferita al fiocco che chiude il colletto della camicia, l’ho tenuta nella mente fin da quando TESSERE ha pubblicato cravatta di Serena Bersani e spesso riaffiorava quando nei talk show vedevo Philippe Daverio. L’eclettico personaggio, collezionista e tenace difensore del papillon, ne possiede centinaia di esemplari. Anni fa dichiarava: «Arrivato a diciott’anni ho smesso la cravatta e son passato al papillon. È più pratico: non casca nel brodo. Adesso, però, lo confesso, è diventato una mania». La spiritosa battuta non demonizza la mitica cravatta e la sua storia, sapientemente analizzata dalla giornalista.

La taddarìta piaceva e piace a molte personalità: uomini illustri, artisti, intellettuali. Accessorio presente nel look di alcune categorie professionali, la sfoggiano anche le donne; insostituibile sullo smoking in alcuni contesti formali e sul frac, anche se vecchio, come quello indossato da quell’uomo elegante e malinconico, di modugnana memoria che aveva:

«…il cilindro per cappello
due diamanti per gemelli
un bastone di cristallo
la gardenia nell’occhiello
e sul candido gilet
un papillon
un papillon di seta blu…».

Canticchiando mentre scrivo, mi interrogo: «Perchè noi siciliani associamo il pipistrello al caratteristico ed elegante indumento maschile?» E mi rispondo: «Perchè, le grandi orecchie dell’esile mammifero, sembrano annodate a farfalla sulla fronte». Il mio fantasioso azzardo, da non prendere sul serio, scaturisce dopo aver osservato su internet le foto del pipistrello Tadarida teniotis (termine scientifico greco, da cui deriva taddarìta) detto anche il molosso, nome affibbiatogli dal naturalista Giacinto Cestoni, che ha correlato le sembianze facciali dell’aggressiva razza canina alla tadarida per evidenziare il «capriccio della natura».

Nei paesi etnei a taddarìta e fraffàlla si alternava pure la parola pùddira (farfalla) ormai desueta, che nel diminuitivo puddirèdda (farfallina) identificava quella indossata dai paggetti nelle cerimonie nuziali o dai bambini col vestito buono della domenica, che non tutti avevano. In questi giorni a Firenze, nelle sfilate e gli atelier di Pitti immagine 2019, gli stilisti l’hanno riproposta con materiali diversi e colori sempre più stravaganti.

Un discorso a parte meriterebbe l’accrescitivo puddirùni (farfallone), famoso quello notturno di… Sant’Antunìnu. Non ha niente a che vedere con l’indumento descritto, ma quando, per caso, al crepuscolo entrava nelle case attratto dalle luci, a differenza della bistrattata e malvista taddarìta, veniva accolto, con segni di croce, come portatore di messaggi ancestrali.

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