CRITICA SPETTACOLI

Trent’anni con gli U2, nel bene e nel male, ma con gli U2

In 120 mila a Roma a festeggiare i trent'anni degli U2, da quando con "The Joshua Tree", il loro quinto album, sono entrati nella storia della musica raggiungendo una fama indiscutibile (ma ancora oggi discussa). Ecco cosa lascia riascoltare una delle più grandi rock band di tutti i tempi.

Il 9 marzo del 1987 la Island Record pubblicava The Joshua Tree, il quinto album degli U2. Il 27 maggio dello stesso anno, la band irlandese arrivava a Roma, allo stadio Flaminio per la prima data dei concerti italiani.

Trent’anni dopo, l’album che ha consacrato il gruppo tra le più grandi rock band di tutti i tempi è stato celebrato a Roma, in due serate, il 15 e il 16 luglio, davanti a 60 mila spettatori ogni sera.

«America is not a country. America is an idea!», grida Bono dal palco introducendo In God’s Country, mentre nel gigantesco schermo alle spalle della band, scorrono le immagini tridimensionali del più incredibile Paese del mondo, cui The Joshua Tree è dedicato: strade e deserti, boschi e montagne, fiumi e capanne di lamiera, ma anche la gente e il volto povero e umano dell’America. Non ci sono città, solo grandi spazi e le contraddizioni di una terra che nella notte dell’Olimpico diventa la metafora delle contraddizioni del mondo. In sovraesposizione Bono, The Edge e i virtuosismi della sua chitarra, Larry Mullen e la sua maglietta “ruffiana” con la scritta Italia sulla schiena, le prodezze al basso di Adam Clayton.

«La notte più bella», come l’ha definita Bono in italiano, si riempie di musica e di emozione sulle note di New Years Day, che apre il concerto. Un boato accoglie Where the Streest Have No Name, I Stille Haven’t Found What I’m Looking For, With or Without You e la prima “deviazione” da The Joshua Tree, ovvero Pride.

Il primo messaggio di pace arriva sulle note di Sunday Bloody Sunday, storico pezzo tratto da War, che racconta la tragica domenica di sangue a Derry, in Irlanda del Nord, il 30 gennaio 1972, quando l’esercito inglese sparò su un gruppo di manifestanti uccidendo 14 persone.

«No more bloody Sunday!» grida l’irlandese innamorato dell’Italia, come Bono ha tenuto a dire di se stesso. E ringrazia gli italiani per la compassione e l’accoglienza, ringrazia la Guardia Costiera a che ogni giorno salva centinaia di migranti in mare, dedica Ultraviolet alle donne che combattono per le grandi e le piccole battaglie e che fanno immenso il mondo: sui 60 metri dello schermo, scorrono i volti di suffragette e scienziate, politiche e cantanti, Grace Jones e Emma Bonino, Rita Levi Montalcini e Patty Smith, Marie Curie e Malala, ma anche di Giusi Nicolini, ex sindaco di Lampedusa.

Sulle note di Miss Sarajevo, che diventa Miss Syria, si consuma l’upgrade “storico” di The Joshua Tree e di tutta la musica degli U2, ancora potenti, ancora in grado di mandare in visibilio il pubblico.

Tre decenni, tanta acqua sotto i ponti, tanta storia, il mondo è completamente cambiato, ma il messaggio di gioia e bellezza che questo album regala, dal giorno della sua uscita, è ancora tutta nel vigore delle 11 tracce che lo compongono.

«La vera forza di questo disco è che attraversi gallerie buie e paesaggi desolati, ma al centro di tutto c’è la gioia», aveva dichiarato Bono al momento dell’uscita dell’album, che ha venduto oltre 30 milioni di copie in tutto il mondo. Un simbolo degli anni ’80, album dell’anno celebrato alla cerimonia dei Grammy Award nel 1988, al 27° posto nella lista dei 500 migliori LP, secondo la rivista Rolling Stones.

Ritenuto dai più il capolavoro della band, è stato indubbiamente quello che li ha consacrati. Uscito dopo The Unforgettable Fire del 1984, il disco della svolta artistica che apre al gruppo la strada verso il successo. I primi tre album – il Live Aid vide solo la partecipazione degli U2 all’iniziativa per la raccolta dei fondi per l’Etiopia – Boy, October e War, avevano avuto un’accoglienza tiepida, se si escludono alcune tracce come Sunday Bloody Sunday.

I fan “puristi” ritengono, invece, che da The Joshua Tree, parta l’operazione commerciale che ha trasformato gli U2 nel gruppo dei record: 41 anni di carriera con la stessa composizione, oltre 170 milioni di dischi venduti, 22 Grammi Award.

Il disco, intitolato alla yucca brevifolia, l’albero di Giosuè, è fortemente politico, mescola l’antipatia per l’amministrazione Reagan, all’amore per una terra immensa e affascinante, di libertà e di opportunità, di enormi ricchezze e incredibili povertà.

C’è tutto questo nel disco, insieme all’amore (With or Without you), alla droga (Running To Stand Still) alla fede (I Still haven’t Found What I’m Looking For), all’impegno politico e sociale (Bullet The Blue Sky, Red Hill Mining Town, Mother of the Disappeared).

Gli anni che seguono l’uscita di The Joshua Tree consolidano la band, che la rivista Rolling Stone ha definito la più imponente del mondo. Sono anche gli anni della ricerca di nuove forme espressive e sonorità, gli anni dell’impegno politico e civile di Bono & C. Escono Ruttle and Hum e Actung baby, l’album del cambiamento, che abbandona il sound più tradizionale, inserisce l’elettronica e apre a temi che saranno sviluppati nel successivo Zooropa.

I sei album pubblicati dopo, fino al discusso Songs of Innocence del 2014, che è stato possibile scaricare gratis per circa un mese dall’uscita su iTunes e che è stato ascoltato da oltre 90 milioni di persone, sono stati la gioia e la delizia di fans, appassionati, critici e detrattori della band. Da chi ha definito gli U2 un bluff, un’operazione commerciale che ha sfruttato l’impegno sociale e umanitario per farsi pubblicità e strizzare l’occhio al buonismo, a chi ha criticato le loro scelte musicali, la perdita dell’ispirazione, la ripetitività, a chi, infine, li ha osannati accogliendo ogni nuovo album come l’ennesimo capolavoro.

Ascoltando la degna chiusura della seconda data romana, The One, potente, epica e sontuosa, con Bono un pochino in difficoltà con gli acuti finali – ma forse era l’acustica dell’Olimpico ad essere imperfetta –  e con il pubblico in delirio, difficile definire “bolliti” questi quattro coriacei irlandesi in pista dal 1976.