LA PAROLA

Unità (l’)

Dei molti significati che ha e dei molti modi in cui è stata impiegata la parola unità si è qui deciso di partire da quello utilizzato nel 1924, anteponendogli l’articolo determinativo, da Antonio Gramsci come testata del quotidiano del Partito Comunista d’Italia: “l’Unità”.

Nome di una pubblicazione a carattere settimanale che quattro anni prima della nascita di quel quotidiano – nel 1920 – cessò le pubblicazioni. L’aveva fondata nel 1911 a Firenze Gaetano Salvemini, una mente di tutto rispetto nel panorama della cultura e dell’impegno civile in Italia fra Risorgimento e seconda Guerra Mondiale. Anch’essa si chiamava “l’Unità”.

Quella di Gramsci fu battezzata così perché quel nome, com’egli stesso scrisse da Mosca il 12 settembre 1923 al Comitato esecutivo del Pcd’I – ne dà conto Gian Luca Corradi nel volume di TESSERE su questo aspetto finora “non sufficientemente” valorizzato dell’attività giornalistica e di teorico dei media svolta dal filosofo di Ghilarza – è così «puro e semplice, che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale»: quello di «dare importanza specialmente alla questione meridionale, cioè alla questione in cui il problema dei rapporti tra operai e contadini si pone non soltanto come un problema di rapporto di classe, ma anche e specialmente come un problema territoriale, cioè come uno degli aspetti della questione nazionale». Unità cioè di “classi”, disposte a condividere un medesimo progetto, e di “territori”, diversamente evoluti, per giungere ad un medesimo grado di sviluppo.

Da poco quel giornale non esiste più o ne restano tristi spettri e questa volta il sapore non è quello di quando fu soppresso nel 1926 dalle leggi fasciste sulla stampa, continuando ad uscire saltuariamente in modo clandestino; o di quando nel 1957 furono chiuse le edizioni di Genova e Torino; o di quando nel 1962 furono unificate le redazioni di Roma e Milano; o di quando nel 2000, dopo che la società editrice non fu più il Partito (all’epoca il Pds), ma una società per azioni, sospese le pubblicazioni mandando chi scrive e quasi altri 200 lavoratori a casa. E non è neppure quello del 1 agosto 2014 quando – tornato in edicola nell’aprile del 2001 per l’impegno di un gruppo di azionisti capeggiati da Alessandro Dalai – fu dato per morto per undici mesi, fino al 30 giugno del 2015. Dopo questa data il Partito democratico, tramite la Fondazione Eyu (un nome, un programma, Europa YouDem-Unità, un po’ come Mdp che, ricordarlo non fa male, è l’acronimo di Monte dei Paschi), dette vita a una nuova società, detenendo il 20% delle azioni e affidandone l’80% alla Piesse, in cui figurano imprenditori edili – Massimo Pessina e Guido Stefanelli –impegnati, fra le altre cose, nella penelopica costruzione dell’ospedale di La Spezia o nella sisifica riconversione della caserma Gonzaga-Lupi di Toscana passata dal Demanio al Comune di Firenze.

Ma l’affezione che – essendo stato un “grande giornale”, come ha scritto Ibio Paolucci da poco venuto a mancare – ha saputo conquistare, è tale che già circolano, o stanno per circolare, pubblicazioni on line che si ispirano alla striscia rossa a lungo caratterizzante proprio il quotidiano fondato da Gramsci (www.strisciarossa.it) o alla U nel carattere che l’ha identificata fino a poco fa (http://u-magazine.it), per non dire di noi stessi di TESSERE che, nel verbo a cui ci ispiriamo, intravediamo un modo di “unire” ed appunto fare “unità”.

La parola unità, del resto, è talmente importante che con essa facciamo i conti fin dalla nascita. Ognuno di noi è una “unità”, perciò inconfondibile con altro, e proprio questo essere unici ci caratterizza e ci distingue. Ma ci accomuna anche, perché, disse John Donne, «non andare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te». Infatti, «Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità».

Questo non tutti l’hanno capito, come se nessuno avesse spiegato loro che l’atomo (l’intagliabile, in greco) è sì la particella “unica”, indivisibile – dai tempi di Democrito, Leucippo ed Epicuro alla base della materia e perciò di tutta la realtà, vivente o meno – ma esso è costituito di particelle e bisognoso di energia, da esso stesso rilasciata, e perciò ci si deve prender cura di quanto un’“unità” costituisce e di quanto essa costituisca tutto intorno a sé e della potenza che è in grado di sprigionare.

Unico, unitario, solo, monade: sono parole che ruotano intorno al medesimo concetto e c’è chi, come chi ha in dote il nome Monica, si porta addosso, nel bene e nel male, il peso di tale destino. Che però è anche una grande conquista, perché senza quell’unità non ci sarebbe il composito, il complesso, l’articolato, il totalizzante, il multiforme. C’è, dunque, insito in questa parola, una grande opportunità, una specie di promessa: quella che le singole unità possano unirsi, in una unità più vasta, e unità vaste siano a loro volta atomi di organismi ancor più complessi e sofisticati. Perché buttar via l’occasione.

Se non ci fosse in matematica l’unità, il numero 1, non ci sarebbe nient’altro a seguire, né addizioni, né sottrazioni, nessun’altra operazione più complessa, e solo lo 0 ricopre un significato altrettanto basilare e “filosofico”, e le due cifre messe insieme, giustappunto “unite”, stanno alla base del sistema binario ed ormai della maggior parte delle nostre quotidiane incursioni.

L’“unità di misura” è poi un vero e proprio grimaldello, senza il quale faticheremmo a raffrontare cose diverse ed a metterle in relazione tra loro, come se fossimo privi di linguaggio, alfabeto e parole: perciò TESSERE un numero su cui riflettere come guardando a un punto di paragone lo pubblica ogni giorno. Che si tratti di metro, micron, watt, dollari o doghe poco comprenderemmo senza di esse e la distanza della Terra dalla Luna o quella della porta dal punto dove si batte il rigore potrebbero essere facilmente confuse. A-dio-piacendo a Sèvres se ne son fatti una ragione.

Ha significati specifici la parola “unità” nella pratica commerciale e mercantile, in biologia, in chimica, in economia, in farmaceutica, in fisica, in meccanica, in urbanistica, nei sistemi internazionali e nella didattica, nel diritto e nella scienza militare, in statistica ed anche nel teatro, dove gode della Legge delle tre u e nella tecnica cinematografica, nonché nell’organizzazione sanitaria ed ovviamente nell’informatica, dove una stampante o un hard disk esterno sono semplicemente unità periferiche.

Rimandando alle Enciclopedie per la comprensione delle singole (unitarie) definizioni, qui si vuol concludere con una citazione assai meritevole d’esser ricordata. È di Ernesto Che Guevara, morto in un anno che finisce per 7, come Gramsci e Primo Levi: «Bisogna battersi risolutamente ogni volta che si parla contro l’unità».