LA PAROLA

Uragano

La parola è nata lì, proprio dove ora Irma ha colpito: nelle Indie occidentali, quell’angolo di mondo esistente già prima che Cristoforo Colombo e i suoi marinai spagnoli lo scoprissero, pensando di arrivare in Asia circumnavigando la Terra senza che vi fosse un altro continente in mezzo.

È una parola spagnola quella da cui deriva, huracán, e questa a sua volta è un adattamento di una voce indigena delle Antille con la quale, nella mitologia dei Maya https://it.wikipedia.org/wiki/Maya , si indicava la divinità del fuoco, del vento e delle tempeste. Una divinità basilare nel Popol Vuh – la raccolta di miti guatemaltechi scoperta nel 1702 – descritta come spirito creatore e origine della vita, ma anche come l’entità capace di scatenare il diluvio e di chiedere l’uccidere il malvagio.

Sinonimo di ciclone, tornado, tromba d’aria, tifone, bufera, tempesta, turbine – l’uragano è qualcosa di specifico che riguarda l’Oceano atlantico e la parte nord est del Pacifico (prendono il nome di tifone se avvengono nel Pacifico nord occidentale e di ciclone se avvengono nel Pacifico del Sud e nell’oceano Indiano), così come lo tsunami è quel fenomeno tipico dell’estremo Oriente, caratterizzato da onde, provocate da qualsiasi evento, in grado di muovere verticalmente una grande colonna d’acqua, derivato dal giapponese, dove significa “onde sul porto”, adottato però internazionalmente come denominazione ufficiale per questo tipo di episodi.

L’uragano è caratterizzato da una depressione molto profonda tipica dei paesi tropicali, il cui forte gradiente di pressione genera venti impetuosi con andamento a spirale che «cominciano a turbinare verso l’alto quando raggiungono il nucleo della perturbazione, dando origine a una struttura di cumulonembi a forte sviluppo verticale disposta intorno all’occhio del ciclone (detta muro dell’occhio)».

Nell’occhio del ciclone c’è una quasi totale assenza di vento e di precipitazioni; le correnti d’aria, in quota, si disperdono verso l’esterno.

Irma – l’ultimo uragano che ha appena colpito le isole dei Caraibi e si sta dirigendo a più di 250 chilometri all’ora verso Miami e la costa meridionale degli Stati Uniti d’America, precedendone altri due in corsa sulla stessa rotta – è catalogata di forza 5 nella scala Saffir-Simpson (abbreviata SSHS), il sistema di misurazione dell’intensità dei cicloni tropicali impiegato quando la velocità del vento supera i 119 chilometri all’ora (33 metri al secondo), soglia sotto la quale ci si avvale della scala Beaufort.

La categoria 5 del SSHS è la maggiore, i venti superano i 252 km/h e gli effetti provocati sono così definiti: «Danni gravissimi agli edifici, che possono anche portare al loro abbattimento; completa distruzione di tutte le strutture mobili e completo abbattimento di alberi, insegne, cartelli stradali. Estese inondazioni nelle zone costiere, che possono superare l’altezza di 6 metri oltre il livello normale; si richiede perciò l’evacuazione massiva di tutti i residenti delle zone costiere pianeggianti, fino a 16 km nell’entroterra».

È quanto sta avvenendo, mentre si fa la prima conta dei morti.

Fino alla fine del XIX secolo i “conquistadores” dell’America centro meridionale chiamavano gli uragani col nome dal santo del giorno in cui la tempesta appariva. Fu un meteorologo anglo-australiano, Clement Lindley Wragge, ad introdurre la pratica di dare a quelle tempeste nomi propri: inizialmente nomi di donne, ma anche di avversari politici o di personaggi della storia e della mitologia. Poi, nel 1953, il National Hurricane Center degli Stati Uniti d’America decise che si sarebbero impiegati solo nomi femminili – le cose inanimate nella lingua inglese spesso sono indicate con il pronome she, “lei” – in ordine alfabetico: si partiva con la A per la prima tempesta dell’anno, poi B, ecc.. La pratica è stata quindi adottata dalla Organizzazione Meteorologica Mondiale. Ma nel 1979 fu accolta l’obiezione che era un pregiudizio sessista quello di associare fenomeni distruttivi al genere femminile. Mantenendo allora l’ordine alfabetico i nomi femminili si alternano a quelli maschili. Così, ora, dopo Irma, che è stata preceduta da Harvey, c’è José, e dopo José Katia.

La lista dei nomi, sempre dal 1979, viene stilata prima che inizi la stagione, attingendo da 6 elenchi utilizzati a rotazione contenenti ciascuno 21 nomi inglesi, francesi o spagnoli, le lingue predominanti nei Caraibi dove le tempeste si formano. Sono esclusi i nomi che iniziano per Q, U, X e Y e dunque i nomi di quest’anno si ripeteranno nel 2023.

A Cele MacLaughlin Pugliese e a Davide Pugliese, soci di TESSERE colpiti duramente da Irma nelle British Virgin Island, va la solidarietà di tutta l’associazione.

Il suono di Irma

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