LA PAROLA

Urlo

UNAPAROLAALGIORNO.IT

Grido alto e prolungato; esclamazione, discorso pronunciato in tono violento, scomposto. Da urlare, che è dal latino ululare.

C’è stato un crepuscolo che non ci aspetteremmo, fra il dissolversi del significato precedente e l’accendersi del successivo. Il punto di partenza latino è l’ululare, la cui origine onomatopeica non ci sorprende; piuttosto è interessante come non fosse un verbo buono solo per versi di lupi e cani, ma descrivesse anche un echeggiare, un gridare, un chiamare, perfino un cantar forte – in modo molto simile al nostro urlare. Per un fenomeno di dissimilazione, ululare è passato attraverso la variante urulare: niente di strano, la dissimilazione consiste nel mutamento di un suono quando sia in prossimità di uno simile, è accaduto anche ad albero da arbor, a pellegrino da peregrinus (in entrambi i casi la prima ‘r’ diventa ‘l’). Ma curiosamente quando nel Trecento il verbo urlare si è affacciato in italiano – ecco il crepuscolo – era ancora forte la percezione che si trattasse di un verbo particolarmente capace di descrivere l’ululare del lupo, del cane.

In seguito nell’urlare è rimasto tutto ciò che c’era nell’ululare latino, tranne questo: l’urlo può essere un grido prolungato e alto, volentieri acuto, volentieri cupo e può essere un’esclamazione, una frase, un’uscita di voce accalorata, troppo elevata, violenta e scomposta; ma l’urlo, questo è certo, non è un ululato. Non ne ha la morbidezza, non è accompagnato dall’espirazione in modo liscio e uniforme: l’urlo può montare, spezzarsi. E in questo mantiene paradossalmente un profilo ferino, animale, che insieme a un colore tendenzialmente più cupo forse lo distingue dal grido, che sembra più articolato, più comunicativo, più diretto a trasmettere un significato, mentre l’urlo sembra più cieco. Se sento un grido d’aiuto, quella che odo è una richiesta di intervento diretta; è più difficile che io dica di udire un urlo d’aiuto, sembrerebbe lanciato senza intento. Ma sono sfumature così sottili che nell’uso si confondono.

Invece pare piuttosto pacifico che dei due plurali di urlo, cioè urla e urli, il primo sia riservato a una pluralità di suoni umani, mentre il secondo abbia un carattere più bestiale. Sento delle urla venire dai banchi del mercato, odo gli urli dei gabbiani. Ma siamo sempre nelle magnifiche terre del tendenziale.

La parola urlo è tratta dal sito unaparolaalgiorno.it, un progetto nato nel 2010 dall’idea di due giovani poco più che ventenni – Massimo, dottore in psicologia, web designer, sviluppatore software e appassionato di fotografia, e Giorgio, 28 anni, dottore in giurisprudenza e scrittore –, con l’intento di riscoprire parole belle e poco conosciute,  che usiamo nel quotidiano ma di cui ignoriamo il potenziale originale. «Dalla qualità dei pensieri che facciamo – scrivono nel loro blog – dipende la qualità della nostra vita». TESSERE li apprezza molto.

 

 

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