DAILY LA PAROLA

Utopìa
#paroledasalvare

Sarà perché viviamo in un mondo che ha smesso di sognare che il termine utopìa sta cadendo in disuso tanto da essere collocato dall’ultima edizione del vocabolario Zingarelli tra le parole da salvare? O sarà perché abbiamo imparato a stare con i piedi per terra e a farci poche illusioni perché tanto la realtà è sempre peggiore dell’immaginazione? Comunque sia, l’etimologia della parola ci racconta della consapevolezza già del suo inventore sul fatto che si parli di qualcosa di ineffabile e irraggiungibile. Utopìa deriva infatti dalla negazione greca , non, e dalla parola tòpos, luogo. Quindi, letteralemente significa “non luogo”. Una parola con una data di nascita, il 1516, quando Tommaso Moro pubblicò il suo libro L’utopia, romanzo ambientato in un’isola dove vive una società ideale, impossibile nella realtà.

Si tratta di un tema che, da Platone nella Repubblica a Barrie con  Peter Pan e la sua Isola che non c’è, ha attraversato la storia della filosofia e della letteratura mondiali e continua a sollecitare le menti che faticano a restare nei confini di una realtà sempre assai prosaica. Addirittura il romanzo utopistico è diventato un vero e proprio genere letterario (un topos del non-topos, potremmo definirlo), affiancato in era moderna da quello distopico.

Eppure utopìa non è necessariamente sinonimo di illusione impossibile. Ci piace più vederla affine alla parola speranza, che ancora non è andata fuori moda, per fortuna, ed è quella che ancora ci fa andare avanti.