LA PAROLA

Vaffanculo

Piccola navigazione (praticamente da diporto) sul come mandare a fare in culo. Liceità permettendo, quale mai sarà la maniera migliore?

Il dubbio può venire, non si sa che pesci pigliare. Sale la voglia di esprimere un bel «vaffanculo!», sia chiaro, non un vaffanculo diretto, specifico; no, così, un vaffanculo un po’ così, in generale. Dove dentro ci siano quel tanto di situazioni, fatti, cose e persone – nomi di fiori, di città, di mestieri – capaci di mandare a fare in culo. Un bel sano, salutare e potente «vaffanculo», espresso a mo’ di stura lavandino… che sgorghi dal profondo tutta la merda altrui che vi è stata vomitata addosso, incrostandosi fin nelle budella. Una sorta di rutto liberatorio.

Si sta in ambascia, perché non è cosa semplice mandare a fare in culo qualcuno o qualcosa. Sì, uno di quei vaffanculo che “rendano” bene qual è lo spirito interiore per cui si sente di mandare qualcuno o qualcosa a fare in culo.

Per esempio: è meglio dire: «Ma vedi di andartene a fare in culo», o, molto più semplicemente «Vaffanculo»? O, meglio ancora, come lo dice un’amica, moscio, strascicato, rassegnato, quasi bofonchiato alla maniera dell’impareggiabile mimo Jacques Tatì, mentre fa spallucce insieme ad un francesizzato «pouf pouf»: «Fanculo»? O è meglio un bel incazzato e tutto d’un fiato «Maaavafanculovaaaa»?

Pare semplice, ma semplice non è! Altro che PIL interno e pure lordo! Rendersene conto non è cosa di poco conto.

Eppure, dentro lo si sente arrivare come l’esplosione di una colata lavica. Incontenibile e inarrestabile e pieno di forza viscerale. Il dilemma è: meglio il compitato elegante perfettino incravattato su doppiopetto blu pronunciato con erre, ma anche con mano, vezzosamente moscia: «Vai a fare in culo», quasi fosse il bigliettino di accompagnamento ad un mazzo di rose rosse su una scatola di cioccolatini? O quello chiaro, rude, senza possibilità d’essere fraintesi, da camallo genovese [*], urlato non alla maniera Munch, ma ddeppiù: «MAVAFFANCULO» accompagnato anche dalla manina che, chiuse quattro dita tranne il medio bello in evidenza ritto su stesso in inequivocabile gesto, invita ad andarci?

Si consiglia trovar soluzione. Se non altro per non trovarsi, dinanzi al dilemma, a fare ancora le tre del mattino pure la prossima notte!

P.S. Per completezza d’informazione e per poter appunto evitare l’insonnia dinanzi all’angosciosa antinomia, si consideri che la parola ha trovato piena dignità di esistere nel vocabolario Treccani, il quale ha accolto anche il neologismo vaffanculismo e che la sentenza n. 27.966 della Corte di Cassazione reputa non offensivo l’impiego pubblico di questa espressione, da altri giudici in precedenza giudicata un «incauto consiglio».

Le motivazioni della V sezione penale del supremo organo fanno riferimento a «parole e anche frasi che, pur rappresentative di concetti osceni o a carattere sessuale, sono diventate di uso comune e hanno perso il loro carattere offensivo, prendendo il posto, nel linguaggio corrente, di altre aventi significato diverso che invece vengono utilizzate sempre meno».

Porta ad esempio «è un gran casino» in luogo di «è una situazione disordinata», «me ne fotto» al posto di «non mi cale» ed assegna al «vaffa…» il significato di «non infastidirmi, non voglio prenderti in considerazione, lasciami in pace».

Per un elenco delle frasi e delle parole dai giudici considerate maleducate che possono rientrare sotto il reato di ingiuria – fino a poco fa punito con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa fino a 516 euro, salvo l’ulteriore risarcimento del danno in via civile, ed ora depenalizzato – o, addirittura, di minaccia per qualcuna di esse, se espresse incutendo paura, si veda questo sito, dove, con dovizia di riferimenti giuridici, si riferisce che «scostumato di merda», «stronza» e «femmina senza palle», «mi hai cacato il cazzo» e «testa di cazzo» conducono a condanna, mentre si incorre nel perdono, tutt’al più nella ramanzina, servendosi di «vaffanculo» appunto – purché non accompagnato dal dito medio alzato – «sciocco» o «ignorante» – salvo che sia detto da maestra ad alunno dinanzi alla classe manifestando disprezzo lesivo del decoro della persona – «rompipalle», «fuori di testa», «mi hai rotto i coglioni» e «cretino». Ma attenzione ad usare queste espressioni sui luoghi di lavoro rivolgendole a dipendenti e superiori: anche un «sei una mezza manica» può far scattare il reato.

Note [*]: Espressione che, quantunque Wikipedia riporti la valenza metaforica assunta nel tempo dai termini camallo e rebellö «per intendere persone dai modi non propriamente fini, o trasandate nel vestire o nel parlare», costerà a TESSERE una seconda reprimenda, dopo quella dei portuali livornesi, indispettiti dalla lettera di un nostro socio che al linguaggio impiegato scaricando merci nello scalo labronico paragonava quello di un custode bibliotecario.

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