DAILY LA PAROLA

Velleitàrio

L’aggettivo che definisce ciò che ha carattere di velleità (un progetto, una mira, una promessa, una pretesa, una protesta, una politica) è velleitàrio e lo si può impiegare anche come sostantivo per indicare l’individuo o il gruppo che ha solo sterili aspirazioni o che non ha fatto bene i conti con tutto quanto necessita per la realizzazione nella realtà di quanto inizialmente sta solo nella testa e, a volte, ha carattere solo di sogno

Il proverbio dice che «volere è potere» ed è inconfutabile che, per realizzare qualcosa, sia indispensabile volerla fortemente. Non esiste dunque conquista umana che possa prescindere dalla volontà.

Rammentarlo di questi tempi, quando tutto sembra così prepotentemente preordinato e vano ogni tentativo anche solo di scalfirlo, è doveroso e salutare, per non rischiare di non avere più sogni e voglia di realizzarli, come se il fatto che tutto sia già disponibile lì, in rete o al centro commerciale, possa esaurire le aspirazioni umane rendendo sterile il desiderio. C’è molto altro, invece, che non si trova in vetrina, su uno scaffale o a un indirizzo http.

Ma riappropriarsi di parole come volontà e desiderio costringe a stare in guardia per evitare che essi siano sterili, e cocente la sconfitta che ne deriverebbe.

Si deve allora fare i conti con quella che i filosofi hanno definito una «volontà imperfetta», e perciò inefficace e vana, o un «desiderio che non riesce a definirsi in volontà»: la velleità, dal verbo latino velle «volere».

Il vocabolario dice che essa è «il desiderio che non ha effettive possibilità di realizzazione, in quanto non sussistono per lo più capacità adeguate o la volontà e l’impegno necessarî».

La parola desiderio viene dal latino dove i corpi celesti – i pianeti e le stelle – si chiamano sidera, perciò quel «sentimento acuto di necessità del raggiungimento o ottenimento di quanto si ritiene essere indispensabile per l’appagamento dei propri bisogni fisici, in particolare riferito alla sfera sessuale, o spirituali» che è appunto il desiderio ha a che fare con le stelle, con qualcosa che da lassù dove brilla potrebbe scendere qui, in terra, realizzarsi e diventare reale.

Ma, appunto, se non si hanno le “capacità adeguate”, se sono carenti “la volontà e l’impegno necessarî” e, di più, se non si è sufficientemente riflettuto sulle condizioni oggettive e soggettive che rendono possibile o ostacolano la realizzazione di quanto auspicato, si è prigionieri della velleità, e niente scende dal cielo a scaldare la terra.

L’aggettivo che definisce ciò che ha carattere di velleità (un progetto, una mira, una promessa, una pretesa, una protesta, una politica) è velleitàrio e lo si può impiegare anche come sostantivo per indicare l’individuo o il gruppo che ha solo sterili aspirazioni o che non ha fatto bene i conti con tutto quanto necessita per la realizzazione nella realtà di quanto inizialmente sta solo nella testa e, a volte, ha carattere solo di sogno.

Sono sinonimi di velleitario gli aggettivi cervellotico, incongruo, illusorio, impossibile, inattuabile, irrealizzabile, pertanto un progetto che non sia velleitario è realistico, concreto, possibile, realizzabile, attuabile. Il velleitario è un illuso, un ambizioso, inconcludente, ha bisogno di essere più concreto, pragmatico, pratico.

Il velleitarismo è la brutta malattia di chi ha programmi vaghi, mal fondati, troppo superiori alle effettive possibilità di realizzazione, proprie od obiettive. Chi la coltiva è demagogico.

La cura, naturalmente, non è la perdita della volontà. È aggiustare il tiro.

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