DAILY LA PAROLA

Vendetta

Cerco una parola e infine la trovo, per definire la vicenda di Jorge Garcia, un omone di 39 anni che vediamo piangere, all’aeroporto di Detroit, abbracciato alla moglie e ai due figli, qualche istante prima di essere imbarcato su un aereo diretto in Messico.

Vendetta: la storia di questa vendetta e di quest’uomo senza storia la racconta la Cbs in un breve video e in un dispaccio di 30 righe. Jorge Garcia arrivò dal Messico negli Stati Uniti quando aveva appena dieci anni. Clandestino, figlio di clandestini, per trenta anni ha vissuto nel nuovo Paese, e per trenta anni – senza riuscirci – ha cercato di guadagnare lo status di immigrato legale. Un sogno: finalmente cittadino americano!

Nel frattempo, la vita ha avvolto la sua matassa: Jorge ha trovato lavoro come giardiniere, ha pagato le tasse, ha imparato la nuova lingua, si è sposato, ha messo al mondo due ragazzi che vanno a scuola. Avrà anche una casa, questa insignificante briciola umana, in qualche ordinato sobborgo di Detroit? Avrà amici con cui dividere una cerveza al bar, si sarà ammalato, si sarà innamorato, avrà una squadra di beisbol per cui esultare e dannarsi sugli spalti dello stadio?

Ebbene, tutto questo da oggi non esiste più, perché lo Stato si è preso finalmente la sua vendetta. Dopo sentenze, appelli, rinvii, perizie, il nome di Jorge Garcia è apparso su una inesorabile lista di proscrizione stilata dagli uffici cittadini nel programma di lotta all’immigrazione lanciato dal nuovo presidente americano.

Funzionari solerti hanno subito individuato il pericoloso fuorilegge, altri funzionari con la pistola alla fondina si sono presentati alla sua porta con un ordine di deportazione. In Messico a novembre! Solo una richiesta di clemenza avanzata dalla parlamentare democratica Debbie Fingell ha permesso a Jorge Garcia di trascorrere le feste di Natale e capodanno con la sua famiglia.

Ma ora il tempo è scaduto. “Padroni a casa nostra!” urla il presidente, rivolto alla razza che ha la sventura di condividere qualche misera impronta genetica con questo dissennato razzista. Qui non c’è bisogno nemmeno di alzare un muro, basta qualche dollaro per il biglietto aereo. Jorge è consegnato al suo destino, merda con le merde, e non potrà tornare negli Stati Uniti prima di dieci anni, quando avrà cinquanta anni e i suoi ragazzi saranno uomini.

La moglie, cittadina americana come i due figli, piange e protesta: «Lui paga per un crimine commesso quando aveva dieci anni. Capisco che le nostre frontiere devono essere protette contro i terroristi, ma mio marito non è un terrorista. Non è un narcotrafficante, non è un criminale».

Moltiplicate la vita di Jorge Garcia per 6 milioni e avrete il numero di immigrati irregolari messicani che vivono negli Stati Uniti. Trump li andrà a scovare uno per uno, li accompagnerà uno per uno in aeroporto e si assicurerà personalmente che non tornino mai indietro? Certo, bisognerà poi far fronte a una massiccia ondata di migranti dalla Norvegia. I nostri fratelli bianchi non vedono l’ora di sbarcare nella terra promessa per lavorare per pochi dollari all’ora come giardinieri, contadini, fattorini, commessi, portieri, muratori, manovali.

Per questo, e per altre mille ragioni, questa legge è inesorabile e ridicola. Per questo, la storia di Jorge Garcia è solo una piccola, miserabile, vendetta.

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