LA PAROLA

Vuoto

Vuoto, privo di contenuto, che non contiene nulla, che non ha nulla dentro di sé. Questa la definizione sul vocabolario Treccani.

Nell’esperienza quotidiana, tuttavia, è vuoto ciò che manca, l’assenza  di quanto ci aspetteremmo o auspicheremmo di trovare, al cui posto c’è sempre e comunque qualcos’altro. Aria, solitamente.

Un cinema vuoto, ad esempio, è pieno di poltrone. Le tasche vuote sono invece di solito piene di mani che vorrebbero lavorare, per non tornare a casa, a loro volta, vuote. In uno sguardo vuoto, ma più precisamente vacuo, si trova un limite della comprensione, l’assenza di empatia, una selva di slogan e frasi fatte per eludere ogni possibilità di confronto, se non l’incapacità di sostenerlo, l’eccesso di alcol o di droghe, un trauma profondo, la morte di chi stiamo guardando.

La lingua è piena di espressioni che contengono la parola vuoto.

Lo scatto del ciclista, se efficace, mette strada, fa il vuoto tra lui stesso e il gruppo. Lo stadio vuoto restituisce, nelle sue diverse partiture, il suono preciso di uno sport e il silenzio dopo la violenza che ne ha determinato la chiusura al pubblico.

Andare a vuoto significa compiere uno sforzo senza riuscire a conseguire lo scopo; agire inutilmente, ma anche non essere considerati o respinti, restare inascoltati, come quando un consiglio o una proposta cadono nel vuoto.

Sentirsi vuoti è indice di uno stato emotivo non positivo, ma che può diventarlo, a patto che si riesca a trasformarlo in un’occasione. Essere pieni di sé può naufragare nell’essere vuoti dell’altro. Ma vaglielo a spiegare, non tanto ai boriosi e tracotanti ominidi che imperversano da microfoni e balconi, quanto a coloro che pendono dalle loro labbra per quello che sembra soltanto una sorta di sortilegio idiota, quando invece purtroppo è somiglianza ed identificazione. Per i diritti dell’uomo il vuoto più pericoloso è quello culturale.

Le dipendenze più gravi sembrano essere tutte in qualche modo connesse con la necessità di colmare un vuoto. Inghiottire farmaci, aspirare fumo, inserire monete, iniettarsi droghe, sono tutti gestualità che vanno verso un vuoto, o forse i gesti stessi del vuoto. Un vuoto affettivo, si legge da più parti sul web.

Fare il vuoto intorno a qualcuno vuol dire isolarlo, emarginarlo, porlo in una condizione da renderne pericolosa la frequentazione, volontariamente o per sciatteria burocratica. Odiosi esempi ne sono i testimoni di giustizia abbandonati dalle istituzioni, i giudici o i giornalisti cui è negata la scorta. Anche il mobbing comporta l’isolamento di una persona. Ma si può anche determinarlo, quel vuoto, con azioni, comportamenti, atteggiamenti invisi agli altri o semplicemente antipatici, scomodi o rischiosi, anche soltanto anticonformisti o del tutto originali. Talvolta può essere cercato. Ma non perché si vogliano creare nemici per molto onore, quanto per necessità di solitudine o per scegliere con cura i propri compagni, in contesti divenuti insopportabili o che sia diventato insopprimibile contrastare.

Nei film polizieschi i malviventi che sono riusciti a fare il vuoto difficilmente saranno beccati, almeno finché non arrivi un super detective con problemi disciplinari. Restando nel settore, se si traggono assegni senza fondi disponibili si emettono assegni a vuoto.

Si ha un vuoto legislativo quando manchino le norme sufficienti a disciplinare una determinata materia o fattispecie giuridica, con la conseguenza di determinare un vuoto nei poteri giudiziario ed esecutivo, che devono attenersi alla legge. Talune depenalizzazioni del recente passato sembrano essere state varate perseguendo sì nobili obiettivi.

Per vuoto di potere si intende invece la mancanza di autorità in chi dovrebbe esercitare il governo di un paese o di un ente collettivo, se non la vera e propria mancanza del governo stesso.

Contrariamente a quanto si pensa, gli astronauti nelle stazioni spaziali non fluttuano nel vuoto per assenza di gravità: stanno respirando aria mentre cadono seguendo una curvatura dello spazio che li mantiene in orbita. Una sorta di versione prolungata e costante dei repentini vuoti d’aria che si sperimentano sui voli di linea, durante i quali per brevi momenti si cade per una diminuzione della portanza delle ali.

In insiemistica è definito l’insieme vuoto. Si segna con una linea chiusa attorno al nulla. Una concetto affrancato dai punti del piano e da quelli che ne formano il contorno, che, comunque, non hanno dimensione, nella definizione che se ne da in geometria. Zero è il numero degli elementi di un insieme vuoto. Ma se inseriamo uno zero in un insieme vuoto cesserà di essere tale perché conterrà un’informazione. Quindi il vuoto non coincide con lo zero perché ne abbiamo uno. Così dallo zero può nascere ogni numero. Lo zero e l’uno sono infatti già in due, e così via.

La parola vuoto ha un’accezione negativa quando indica una situazione di penuria o carenza che può mettere a rischio la stessa sopravvivenza: frigoriferi, scaffali, portafogli, dispense, granai o spighe vuoti sono indubbiamente condizioni che nessuno vorrebbe doversi trovare a fronteggiare senza sapere come ovviarvi in un tempo ragionevolmente breve.

Comunemente abbiamo solo esperienze di presenza o assenza di oggetti presenti o scomparsi ai nostri sensi. Chi o cosa non c’è più potrà aver lasciato un vuoto, ma sarà, in un modo o nell’altro, da un’altra parte, in un’altra forma, dentro una diversa prospettiva.

Avvicinandoci al vuoto mentre ci allontaniamo dal senso comune non può che apparire sempre più chiaro che si tratti di un concetto. Pensarlo gli è asintotico – non c’è vuoto se c’è il pensiero del vuoto.  E solo il riuscire a smettere di pensare potrebbe consentire di raggiungere la pienezza della vacuità, secondo gli insegnamenti del Buddismo.

Forse lo stomaco vuoto è lo strumento più potente per cambiare la propria visione del mondo, specie se si arrivi dall’averlo avuto fin troppo pieno.

Sotto vuoto, cioè in assenza di aria e soprattutto di ossigeno, si possono conservare gli alimenti, ma attenzione ai batteri anaerobici. Qualcosa nell’infinitamente piccolo continua a muoversi.

Si può parlare di vuoto assoluto? Certamente sì, ma solo in teoria, perché nessuno è riuscito a produrlo, nemmeno in laboratorio. Un po’ come mettersi a svuotare il Mare di Dirac con un cucchiaino.

Secondo le teorie del celebre fisico il vuoto corrisponderebbe alla condizione di minima energia, ma per quanto piccola, infinitesimale o addirittura negativa, è pur sempre presente come onda o materia, o anti-materia. “Tuttavia, è diventato sempre più evidente che la natura” operi “su un piano differente. Le sue leggi fondamentali non governano in nessun modo diretto il mondo così come ce lo raffiguriamo, ma controllano invece un substrato del quale non possiamo crearci un’immagine mentale senza introdurvi elementi estranei.” Come egli stesso diceva.

A proposito di elementi estranei introdotti dall’uomo, duole segnalare che sia caduta nel vuoto la nuova legge sul vuoto a rendere, che prevedeva un compenso per la restituzione ai negozianti di bottiglie e lattine per combattere l’inquinamento e favorire il riciclaggio dei rifiuti. Un sistema del genere aveva funzionato egregiamente fino agli anni ‘80 del secolo scorso, ma la norma più recente lo avrebbe reso così complicato da renderlo di fatto impraticabile. Nell’articolo da cui è tratta la notizia si sostiene che si tratti di lobbismo.

Cosa volevo dire, ancora? Non mi ricordo più. Ho un vuoto di memoria.

 

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