DAILY LA PAROLA

Webete

«Lei è un webete», scrisse Mentana su facebook al malcapitato "odiatore" seriale. E così nacque il neologismo dell'anno del 2016

È stato il neologismo dell’anno nel 2016, quando Enrico Mentana, rispondendo a un odiatore seriale su facebook lo usò per la prima volta su un social: «Non c’è distanza maggiore che tra il virtuoso e il virtuale: eppure per lei se uno non grufola contro gli invasori è un fake. Lei è un webete», disse il direttore del TG7, decretando in quel preciso istante l’ascesa del termine nell’olimpo della Crusca.

Webete è una cosiddetta “parola macedonia”, composta dall’unione di web e di ebete. Definisce quel particolare tipo di utente social che, “nascosto” dietro la tastiera, va a ingrossare le file delle «legioni di imbecilli», cui facebook e affini, secondo Umberto Eco, hanno dato la parola.

In realtà il termine ha origini ben più lontane. Risale agli anni Novanta, quando i social non erano ancora nati, internet era solo la rete e la parola aveva con un significato diverso da quello che indubbiamente gli ha dato il giornalista. Se il webete del 2016 è un razzista, intollerante, becero, un minus habens da tastiera che utilizza i social in modo superficiale e aggressivo, nel gergo telematico degli anni Novanta, è solo un ignorante del web.  Come si legge sul Dizionario del gergo di Usenet, a cura di Maurizio Codogno, è un «utente che considera Internet composta solamente dalla WWW» e specifica che il neologismo è stato coniato da un non meglio definito Ginzo. In sintesi webete era colui che limitava la propria esperienza online alla navigazione, ignorando l’esistenza di altri servizi collegati alla rete, a partire dall’uso della posta elettronica. Una sorta di semianalfabeta del web, del tutto innocuo, che nel giro di venti anni, è pressoché scomparso, soppiantato dal nuovo webete social.

Non è chiaro se Mentana nel momento in cui ha scritto la fatidica parola fosse a conoscenza della sua esistenza e delle sue origini. Di sicuro, rileggendo il tono della discussione, non poteva trovare termine migliore per definire la stupidità del proprio interlocutore.