IL NUMERO

Zero

Lo zero, dall’arabo sifr, nulla, zero, sempre dall’arabo zerret, cosa da nulla, è il numero che precede uno e gli altri numeri, è l’unico numero della successione naturale che non sia successore di un altro numero, e va distinto dall’assenza di valore stando a significare niente, nessuna quantità. Lo si potrebbe arditamente definire un numero vacuo. Il rapporto tra zero e nulla è inscindibile.

Graficamente, lo zero, è un cerchio che circoscrive un vuoto, fu concepito nel sistema di numerazione babilonese, verso il 300 a.C. e veniva indicato con due cunei, la cui funzione era di evidenziare, appunto, uno spazio vuoto. Anche in India lo zero indicava la posizione che intercorreva tra due cifre e l’idea del vuoto era espressa dalla parola sanscrita sunya che indicava anche il concetto di “assenza”.

La conquista dello zero, nella storia della matematica, e il suo riconoscimento al rango di numero non fu facile e trovò molte resistenze: «Nelle normali attività quotidiane – osservò Alfred North Whitehead – lo zero non ci serve affatto, nessuno va al mercato a comprare zero pesci». Lungo e periglioso il viaggio di questo non-numero prima di approdare in Europa attraverso gli arabi. Siamo nel 1120 quando Abelardo di Bath si prende la briga di tradurre in latino un libretto del IX secolo dopo Cristo, scritto da Abu Jafar Muhammad Ibn Musa al-Khwarismi, per far conoscere anche ai matematici europei il nuovo sistema di numerazione elaborato dal matematico arabo sulla base dei testi indiani. Ma non ebbe un particolare successo, tant’è che Guglielmo di Malmsbury definì il sistema «pericolosa magia saracena».

Ma nel 1202 arriva il Liber Abaci di Leonardo Fibonacci, un manuale che toglie ogni dubbio sul sistema matematico arabo e consegna lo Zero alle future generazioni. Il padre di Fibonacci era un mercante e il commercio lo aveva portato a contatto con il mondo arabo. Fibonacci ebbe così modo di studiare sotto la guida di un maestro musulmano e di compiere molti viaggi in Oriente, venendo a conoscenza dei nuovi numeri e dei loro grandi vantaggi nel far di conto.«Gli indiani – scrive Fibonacci nel suo libro – usano nove figure: 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1 e con queste, assieme al segno 0, che gli arabi chiamano cephirum, scrivono qualsiasi numero».

Lo zero era diventato cephirum in latino, come traduzione della corrispondente parola araba sifr, traduzione a sua volta del termine sunya che in sanscrito significa “vuoto”. Cephirum o ciphra quest’ultimo termine per indicare poi, in italiano, non solo più lo zero, ma qualsiasi cifra. Mentre Cephirum diventerà zefiro, zevero e finalmente, nel dialetto veneto, zero: «Et dovete sapere chel zeuero per se solo non significa nulla – scriveva Fibonacci – ma è potentia di fare significare… Et decina o centinaia o migliaia non si puote scrivere senza questo segno 0». Ma le affermazioni del buon Fibonacci dovranno aspettare qualche secolo prima di consentire una buona digestione dello zero. Potremmo riempire pagine su questo chiacchierato numero che non doveva esistere perché non valeva nulla, eppure questo cerchio che racchiude il vuoto e parimenti l’Infinito può essere definito nella descrizione che fa Laotse del Tao:

Lo guardi e non lo vedi

lo ascolti e non lo senti

ma se lo adoperi è inesauribile

In conclusione, per sfatare il mito del nulla dello zero, proviamo a riflettere invece su quante indicazioni ci propone; ad esempio, l’aereo parte alle zero precise ed allora non è che non accade nulla, ma parte un aereo; il termometro segna zero gradi, ed allora non è che non accade nulla, ma avviene la fusione del ghiaccio; la benzina è a zero, ed allora non è che non accade nulla, ma la macchina non parte, e così via…da Zero a Infinito.

L’avventura dello zero

C’era una volta
un povero Zero
tondo come un o,
tanto buono ma però
contava proprio zero e nessuno
lo voleva in compagnia.
Una volta per caso
trovò il numero Uno
di cattivo umore perché
non riusciva a contare
fino a tre.
Vedendolo così nero
il piccolo Zero,
si fece coraggio,
sulla sua macchina
gli offerse un passaggio;
schiacciò l’acceleratore,
fiero assai dell’onore
di avere a bordo
un simile personaggio.
D’un tratto chi si vede
fermo sul marciapiede?
Il signor Tre
che si leva il cappello

e fa un inchino
fino al tombino…
e poi, per Giove
il Sette, l’Otto, il Nove
che fanno lo stesso.
Ma cosa era successo?
Che l’Uno e lo Zero
seduti vicini,
uno qua l’altro là
formavano un gran Dieci:
nientemeno, un’autorità!
Da quel giorno lo Zero
fu molto rispettato,
anzi da tutti i numeri
ricercato e corteggiato:
gli cedevano la destra
con zelo e premura
(di tenerlo a sinistra
avevano paura),
gli pagavano il cinema,
per il piccolo Zero
fu la felicità.

Gianni Rodari

da Il libro delle filastrocche