TESSERE erano, in principio, genericamente quadrati, rettangoli. Si suppone che la parola latina tessĕra derivasse per abbreviazione dal greco τεσσαράγωνος, la quale sta appunto per quadrato, rettangolo, perché quattro in quella lingua si diceva τέσσερα.
Se l’indeformabile triangolo ha in sé attinenza con la perfezione, il quadrato – capace di racchiudere il cerchio, far tornare i conti, indurre a stringersi insieme per difendersi o sostenere un’idea, rendere equilibrata ed affidabile una persona, elevare alla potenza e far derivare un’opera d’arte racchiusa in una cornice – se non alla perfezione, mira a far aspirare l’uomo ad essa, lasciandogli in mano il margine della deformabilità, di un cambiamento, di una mutazione.
TESSERE dunque racchiudono in sé tanto un’idea di solidità, quanto quella della flessibilità, della possibilità di modificarsi.
TESSERE sono, da quel primo significato geometrico, tasselli di pietra, pasta vitrea o altro materiale multicolore, capaci, messi uno accanto all’altro, di dar forma ad un mosaico. Prevale qui l’idea dello stare insieme e, così facendo, di dar vita alla bellezza. In quest’accezione si dicono musive, e chissà se discendono dalle protettrici delle arti figlie della dèa della memoria, Mnemosyne.
TESSERE sono, per analogia, anche gli elementi lapidei di forma pressoché cubica (selci, cubetti), o parallelepipeda (masselli, basoli) con i quali si costruiscono le pavimentazioni stradali in pietra. Sulle quali, dunque, si può camminare ed intraprendere un percorso. E farne di strada.
Ma, derivate da questa accezione, TESSERE sono anche gli elementi di marmo, ceramica o vetro con i quali rivestire edifici al loro interno o all’esterno. Elementi protettivi, dunque, ed estetici.
Più genericamente con TESSERE si indicano anche gli elementi, o ritagli, (di stoffa, carta, cartoncino, quant’altro) variamente riuniti per formare una figura casuale o prestabilita. Ingredienti, si potrebbe dire, o componenti la multiformità: polimorfi, variegati, vari, poliedrici, versatili.
TESSERE erano anche, nell’antica Roma, dadi d’avorio recanti su una faccia un numero o una lettera, e, talvolta, su un’altra faccia, parti di un motto che, combinate con le scritte sugli altri dadi, potevano completarlo, disvelando un messaggio, magari augurale, votivo, vaticinante. Così intese erano definite tesserae lusoriae, cioè «dadi da gioco». Il loro significato ludico, azzardante e perciò arrischiante, ed anche casuale, fortuito, è fin troppo trasparente.
Queste TESSERE sono chiaramente i precursori dei dadi (dal latino datum, «dato», compiuto ed incontestabile, che indica il gesto deciso, marcato, del lancio di quei cubetti, ma anche l’incontrovertibile complesso dei punti risultanti dai 6 numeri impressi sulle altrettante facce del parallelepipedo), a cui ci si affida consegnandosi alla sorte, imprevedibili, matematici ma incalcolabili, talmente inesorabili da aver indotto Giulio Cesare a servirsene per motivare la decisione presa: «Alea iacta est», il dado è tratto. E non è ininfluente ricordare anche, senza soffermarsi sui significati sottesi, che in meccanica i dadi sono l’insostituibile altro lato a cui si avvita ben stretto il bullone, e per chi osa la scalata delle montagne, sono invece strumenti di protezione nell’arrampicata.
Ma le TESSERE in tal modo specificate nell’antica Roma sono anche le antesignane di quelle impiegate nel domino, gioco inventato in Cina nel 1120 da un matematico e statista che ne fece dono all’imperatore Hui Tsung ed usato poi, intorno al xiii secolo come strumento di divinazione. Introdotto in Italia, probabilmente a Venezia, verso il xviii secolo, il domino si è poi diffuso in Francia e da lì in tutta l’Europa. Il suo nome deriva dal latino dominus, cioè padrone, ma in Francia faceva riferimento ad un costume carnevalesco dalla veste nera e dalla maschera bianca, per indicare il quale si impiega un termine identico.
Le TESSERE del domino sono 28, piane e di forma rettangolare, originariamente con la faccia inferiore di ebano e quella superiore d’avorio, oppure entrambe di osso, uno annerito l’altro bianco. Sono divise da una riga in due quadrati uguali, ognuno dei quali ha impresso un numero che va da 0 a 6. Sette numeri, cioè. Perciò ogni pezzo combina tutti i punti da doppio zero (0-0) a doppio sei (6-6), mettendo a disposizione 28 varianti – dette combinazioni – se si considera che 1-5 e 5-1 sono uguali, oppure 49 – dette disposizioni – se si considera che quei due numeri diversamente ordinati sono diversi. Al gioco possono partecipare da due a sei persone, le quali, a partire dalla tessera scoperta sul tavolo, affiancano uno dei propri pezzi che possieda uno dei due numeri impressi su quella iniziale. E così di seguito, finché uno riesce a collocare tutte le proprie, o termina la possibilità per tutti di collegarsi ai due estremi della catena. Vince appunto chi finisce per primo, o chi, concluso il gioco, resta col minor numero di punti in mano. Da questo gioco è derivata l’espressione «effetto domino», per indicare esiti o cambiamenti che si susseguono uno dopo l’altro, a catena, innescati repentinamente e continuativamente da una causa precedente. Ed i significati combinatori ed inter-relazionali della prima parte e riproduttivi della seconda sono pertinenti all’ambito in cui ci stiamo muovendo.
Sempre nell’antica Roma con TESSERE si intendevano lastrine quadrangolari, di metallo, osso o avorio, con iscrizioni di vario contenuto, per lo più col nome del possessore, che servivano di riconoscimento. Oggetti dunque identificanti, rivelatori di identità, attribuibili unicamente a un individuo, a nessun altro al suo posto.
Ne esisteva tuttavia una variante: quella di lastrine o asticelle realizzate nei medesimi materiali pregiati, divise in due parti, ciascuna delle quali in possesso delle persone contraenti un vincolo, prevalentemente di ospitalità. Si chiamavano infatti TESSERE ospitali. E qui prevalgono i significati di patto da un lato, di accoglienza e sodalizio dall’altro.
Dalle prime sono derivate le TESSERE che noi ancor oggi impieghiamo per indicare – servendoci talvolta dei loro diminutivi caratterizzati dai suffissi “ino” o “ina” – quei libretti o cartoncini rettangolari, oggi anche magnetici, atti al riconoscimento di una persona, perciò contenenti dati che la qualifichino, compresa eventualmente la fotografia che dà una corrispondenza tra il volto lì impresso e quello di chi esibisce tal documento. Sono oggetti che servono per dimostrare la propria appartenenza a un’associazione, a un partito, a un ente, a un’organizzazione, o per rendere evidente il beneficio di determinati diritti, la possibilità di entrare in aree ad altri interdette, di usufruire di un servizio, di accedere a luoghi avendone le credenziali, di poter fare cose che non a tutti sono concesse, di segnalare, una volta passate in un lettore ottico, la propria presenza in quella sede, o anche, più semplicemente, come anticamente li si intendeva con tal nome, per presentarsi, biglietto da visita in altre parole.
In numismatica, dal medioevo, con TESSERE si è iniziato ad indicare pezzi per lo più di ottone, rame o altro metallo, simili a una moneta o in altra forma geometrica, usati con funzioni di denaro “parallelo”, analoghe a quelle dei moderni gettoni: ce n’erano di mercantili o commerciali che servivano a facilitare i conteggi, ed altre atte a distribuire elemosine o generi alimentari, oppure utilizzate come medaglie di presenza o contrassegni.
Ma TESSERE, con l’accento grave sulla prima “è”, è pure il verbo derivato dal latino tĕxĕre, col quale si indica l’attività di intrecciare al telaio i fili della trama con quelli dell’ordito, per fare una tela o un altro tessuto. Si tesse la lana, la canapa, il lino, il cotone, si tessono tovaglie, coperte, maglie, lo si fa a mano o a macchina, ma comunque al telaio, non con i ferri, cucendo o ricamando.
Di qui estensivamente TESSERE assume i significati di costruire, formare con elementi sottili e lunghi, intrecciandoli o disponendoli come nella tessitura: stuoie, ghirlande, la tela del ragno. Ma in maniera figurata anche comporre, inventare, con arte e ordinatamente: un discorso, la trama di un libro, una storia, ma anche le lodi, cioè far l’elogio di qualcuno, addirittura un panegirico. La maniera figurata di servirsi di questo verbo è chiaramente connessa alla creatività, e alle figure mitologiche che la presiedono, non a caso Boccaccio si trovò a far riferimento alle ispiratrici delle arti così esprimendosi: «queste cose tessendo, né dal monte Parnaso né dalle Muse non mi allontano».
Ma TESSERE ha anche i significati di preparare, macchinare, ordire, e qui può dar vita a trame, inganni, frodi, tradimenti. Senza i quali, talvolta, non può esserci evoluzione.
Di TESSERE se ne sono serviti come metafora in letteratura gli scrittori: Foscolo, «viene Ultima al rito a tesser danze all’ara» e D’Annunzio, riferendosi al volo degli uccelli, «i balestrucci a stormi tessevano e ritessevano l’azzurro tra il duomo e la rocca»; i telecronisti di calcio, affiancandolo a «un bel gioco», per dir di azioni d’attacco ben congegnate; gli ingegneri per riferirsi a come si mette su un solaio, un tetto, l’impalcato di un ponte; i marinai, nell’espressione la «nave tesse» quando, per effetto del rollio causato dal mare grosso, si verificano deformazioni elastiche alterne della struttura trasversale dello scafo nei suoi punti di giunzione.
Dal participio passato del verbo TESSERE deriva la parola tessuto, ovvero sia qualsiasi manufatto costituito da un insieme di fili intrecciati fra loro mediante la tessitura; o, in biologia, l’aggregato di cellule – nervose, muscolari, ossee e quant’altro – che hanno forma, struttura e funzioni simili; oppure, in senso figurato, come per esempio nell’espressione «un tessuto di menzogne», per indicare un complesso di fatti e situazioni, intricati o connessi tra loro come in un castello, in una trama; o in architettura riferendosi al complesso di elementi che caratterizzano una città o una sua zona (il tessuto urbano). In tutte queste accezione, in specie quand’è accompagnato dall’aggettivo “connettivo”, è comunque la base, il fondamento, la struttura portante.
Dal participio passato del verbo latino tĕxĕre, da cui TESSERE discende, deriva invece la parola testo (textus o in forma neutra textum), il cui significato primo è l’insieme di enunciati che compongono un’esposizione orale o scritta, come una lettera o una canzone, e allora sono anche le parole di un film o di un pezzo teatrale, oppure di un copione, di un discorso, di uno scritto. Ci sono allora i testi sacri, quelli classici, quelli osceni o fondamentali e qui dunque la parola sta per libro, opera, scritto, volume. Fare testo significa avere indiscutibile autorità, contare, fare scuola.
E il tèsto, con l’accento grave sulla prima “è”, sempre derivato dal verbo latino che noi traduciamo con TESSERE è il contenuto d’uno scritto o d’uno stampato, ossia l’insieme delle parole che lo compongono, considerate non solo nel loro significato ma anche nella forma precisa con cui si leggono nel manoscritto o nell’edizione a cui ci si riferisce, dal romanzo alla sentenza di un giudice, dal volantino ad una poesia: lo si può leggere, riferire, modificare, pubblicare. In campo giuridico e legislativo è la sostanza di una legge, la sua precisa enunciazione. In un libro è, con valore restrittivo, il corpo originale d’uno scritto, distinto da tutto ciò che prima della stampa viene inserito o aggiunto: l’introduzione, le illustrazioni, i commenti, le note, postille, chiose o glosse. Tanto che tavole o tabelle possono essere “fuori testo”, ovvero stampate su carta diversa per qualità e dimensioni da quella del volume e non calcolate nella numerazione delle pagine. Se ne può dare del tèsto un’interpretazione che lo travisi; prepararne una versione che si allontani dall’originale; metterlo a fronte così che su una pagina vi sia quello nella lingua in cui è stato scritto, nell’altra quella in cui è stato tradotto. Indica le parole alle quali viene adattata una musica, la parte in recitativo.
Nell’accezione così definita di questa parola desunta dal verbo TESSERE è per estensione l’opera, soprattutto quando si tratti di edizioni antiche, di libri autorevoli. Può essere manoscritto, cioè a penna, o a stampa; se ne può fare una critica, la cui puntualità è detta testuale; lo si può valutare lacunoso, mutilo, guasto, alterato, scorretto, interpolato; e ancora emendarlo o renderlo definitivo; riferirsi a quello di una precisa edizione. Nelle tipografie, un tempo, era il nome con cui venivano indicati i caratteri a stampa di corpo 18. Divenuto opera è il tèsto a cui si riconosce grande autorità in un determinato settore del sapere. Di qui, quelli adottati nelle scuole, sono libri di testo. In informatica, infine, è sinonimo di messaggio, cioè l’insieme di dati che viene fornito da un utente a un sistema informatico o, viceversa, da questo all’utente o da un sistema a un altro.
Sempre con l’accento grave sulla prima “è”, ma derivato invece dal latino testu o testum, quindi non attinente a TESSERE, la parola tèsto sta per «coperchio o vaso di terracotta», continua ad indicare questa copertura di pentole o tegami, o una teglia, sempre di coccio oppure di metallo, con bassi orli per cuocervi focacce e torte, e altre vivande simili della cucina rustica, dischi dai quali, messi in forno o sul fuoco, si ricavano ancora i “testaroli” di farina in Lunigiana, la cecìna di ceci sul litorale toscano, i necci di castagne sull’Appennino pistoiese, le tortillas di mais in Messico, le crepes di latte e uova in Francia, la piada in Romagna, la pizza a Napoli. Ma eran sempre cocci di terracotta quelli su cui si incidevano le prime parole. E il vaso di terracotta, lo decanta splendidamente ῾Òmar Khayyā´m nelle sue Quartine, fragile e inesorabilmente nelle mani del vasaio, è nient’altro che l’uomo.
In quanto cocci di terracotta le TESSERE possono essere associate al termine greco ὄστρακον, che proprio quello significa, frammenti di vasellame o anche conchiglie, e questi erano gli oggetti su cui – in scarsità di altre superfici scrivibili, essendo raro e costoso il papiro importato dall’Egitto – nel 510 a.C. ad Atene, Clistene escogitò il modo di indicare il nome di chi, rappresentando un pericolo per la comunità, dovesse per votazione essere espulso, ovvero sia ostracizzato, mandato in esilio per 10 anni.
Sembrano invece non derivare da termini latini alle origini etimologiche del verbo TESSERE le parole teste, testimone, testimonianza e testimoniare, ed anche testamento. La loro derivazione è dal latino tèstem che si ritiene detto per trèstem, il quale avrebbe a che fare con i significati di tenere, sostenere, tranne l’ultima, ovvero sia appunto l’ultima volontà, che è attinente invece al verbo testàri ovvero attestare.
E tuttavia vengono qui associate a TESSERE per la loro intrinseca qualità di lasciar traccia; non far dissolvere nell’oblio; dar conto di qualcosa che c’è stato e altrimenti sarebbe andato perduto; ed anche, in qualche maniera, di essere veritiere; degne di fede; costituire una prova; manifestare sentimenti, idee, convinzioni; mostrare con qualche atto la riconoscenza per qualcosa; attestanti una fatica, un lavoro, una ricerca svolti; la narrazione di qualcosa a cui si è stati presenti, vedendo, assistendo o anche solo immaginando; la capacità di rappresentare qualcos’altro, come quando si dice che la natura è testimonianza della volontà creatrice di Dio; la potenza affermativa, assertiva, dichiarante; il valore della deposizione; per estensione l’essere segnale, segno, indizio, traccia, spia.