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Sul “Fatto Quotidiano” il libro di Gramsci

Questo l’articolo di Eduardo Di Blasi comparso nella sezione cultura de “Il Fatto Quotidiano” di oggi, domenica 9 aprile 2017.

La scomunica di Gramsci il fondatore de L’Unità

Chi non sa gestire un giornale non può governare un Paese

di  Eduardo Di Blasi

9 aprile 2017

Era un filosofo e un politico. Ed era anche, circostanza che a volte è ricordata a margine, un giornalista Antonio Gramsci di cui a fine mese ricorrono gli 80 anni dalla morte (si spense giovane, a 46 anni, il 27 aprile del 1937). Ma il fondatore de l’Unità, era anche un incredibile teorico del mestiere. Inteso, come poteva esserlo negli anni Venti del secolo scorso, anche come processo industriale, di formazione politica, di diffusione (e certo non doveva essere facile arrivare “alle masse” con un giornale scritto, pensando che un terzo del paese era analfabeta).

Tra il 26 luglio 1910, quando compare un suo primo articolo su L’Unione sarda, all’8 novembre 1926, quando, parlamentare, fu arrestato con buona pace delle guarentigie democratiche, Gramsci scrive oltre 1500 articoli, molti di critica teatrale. Nel libro Antonio Gramsci. Il giornalismo, il giornalista curato da Gian Luca Corradi per la giovane casa editrice Tessere (www.tessere.org), ne raccoglie 67, cui aggiunge lettere e riflessioni, oltre a una prefazione di rango come quella dello storico Luciano Canfora e una postfazione di spessore da un “veterano” del mestiere e del Pci come Giorgio Frasca Polara, già portavoce di Nilde Iotti presidente della Camera e per anni firma di punta della politica nel quotidiano comunista.

L’attività frenetica dell’intellettuale sardo, non si interrompe con il carcere.  Il suo ragionamento è senso pratico. Pensiamo al “lettore”, elemento fondamentale di chi vuole fare un giornale. Per lui: “I lettori devono essere considerati da due punti di vista principali: 1) come elementi ideologici, ‘trasformabili’ filosoficamente, capaci, duttili, malleabili alla trasformazione; 2) come elementi ‘economici’, capaci di acquistare le pubblicazioni e di farle acquistare ad altri. I due elementi, nella realtà, non sono sempre distaccabili, in quanto l’elemento ideologico è uno stimolo all’atto economico dell’acquisto e della diffusione”. Quello che oggi potremmo chiamare il “mercato” è ben chiaro al pensatore sardo, che ci tornerà con diverse riflessioni. “Non si può parlare di azienda giornalistica ed editoriale seria se manca (…) l’organizzazione del cliente, della vendita, che essendo un cliente particolare (almeno nella sua massa) ha bisogno di una organizzazione particolare, strettamente legata all’indirizzo ideologico della ‘merce’ venduta. È osservazione comune che in un giornale moderno il vero direttore è il direttore amministrativo e non quello redazionale”.

I giornali devono vendere. Ma non basta. Chiarisce più avanti: “Certo l’elemento fondamentale di fortuna per un periodico è quello ideologico, cioè il fatto che soddisfa o no determinati bisogni intellettuali, politici. Ma sarebbe grosso errore il credere che questo sia l’unico elemento e specialmente che esso sia valido ‘isolatamente’ preso. (…) Di una opinione la cui manifestazione stampata non costa nulla, il pubblico diffida, ci vede sotto il tranello. E viceversa: diffida ‘politicamente’ di chi non sa amministrare bene i fondi che il pubblico stesso dà. Come potrebbe essere ritenuto capace di amministrare il potere di Stato un partito che non ha o non sa scegliere (il che è lo stesso) gli elementi per amministrare bene un giornale o una rivista?”. A vedere l’attuale situazione de l’Unità e del Pd, suo partito di riferimento, pare un tragico ammonimento postumo.

Gramsci si occupa di tutto: dall’analisi della stesura dei pezzi (il suo modello di chiarezza era la prosa del Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels), all’acquisto della carta (per Ordine Nuovo suggerisce di non comprarla dalle cartiere ma recuperare “gli avanzi dei rotoli” da mercanti che li ritirano dalle tipografie), al contenuto del giornale: “È dovere dell’attività giornalistica (…) seguire e controllare tutti i movimenti e i centri intellettuali che esistono e si formano nel paese. Tutti. Cioè con l’esclusione appena di quelli che hanno un carattere arbitrario e pazzesco; sebbene anche questi, col tono che si meritano, devono essere per lo meno registrati”. Insomma, un collega da riscoprire.