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Il libro di Frasca Polara recensito su Mompracem

 

Il destino di Giorgio Frasca Polara era già inscritto nella sua nascita. Che avvenne lo stesso giorno dello stesso anno e nello stesso posto dove morì Antonio Gramsci: 27 aprile 1937, clinica Quisisana, Roma. Una coincidenza che evidentemente è rimasta impressa nel suo Dna, segnandone la scelta di campo.

Giornalista di razza e di lungo corso, Giorgio ha lavorato infatti per 43 anni a L’Unità, abbandonandola al momento della sua privatizzazione, è stato per 13 anni portavoce di Nilde Iotti, prima donna Presidente della Camera, ha poi continuato a scrivere per le testate amiche, curando libri. Ancora oggi, che ha 84 anni, frequenta la Sala stampa del Senato, dove i cronisti gli chiedono consiglio e i più giovani imparano anche da lui il mestiere del giornalista.

La tela del cronista. Tessere la storia con la penna in mano, il libro pubblicato ora da Tessere, casa editrice, ma anche associazione culturale e rivista on line fiorentina, raccoglie tutti gli articoli scritti dal giornalista – siciliano doc, anche se nato a Roma – con cadenza mensile tra il 2017 e il 2019 per la rivista www.tessere.org. La prefazione avrebbe dovuta scriverla uno suo compagno e conterraneo, Emanuele Macaluso, che però se ne è andato prima. A firma di Macaluso compare comunque un ricordo, un articolo scritto su L’Unità per recensire un libro di Frasca Polara. Arricchiscono il volume, contributi, ricordi, aneddoti di Sergio Sergi, Paolo Franchi, Giuseppe Ceretti, Valeria Marchionne, Gian Luca Corradi, Daniele Pugliese.

La tela intessuta da Frasca Polara con la sua penna, con pazienza, abilità, acume, ironia, conoscenza profonda di fatti, avvenimenti, personaggi, copre quasi un secolo e mezzo di storia italiana. “Una lettura avvincente dei fatti d’Italia”, come la definisce nella sua prefazione Sergio Sergi. Che aggiunge: “C’è il talento di un professionista nato per fare questo prezioso mestiere, di un osservatore attento della società italiana e, se vogliamo, anche di un protagonista diretto, di un testimone di prima fila per tanti anni”.

Il primo episodio narrato da Frasca Polara, “La madre di tutte le Tangentopoli”, risale al 1896. Un libro di Felice Borri, libraio-editore in Torino, che diede alle stampe una Storia dei ladri nel regno d’Italia da Torino a Roma. Un secolo dopo, nel 1966, l’allora governatore di Bankitalia Guido Carli alla vigilia di Natale ne fece fare una ristampa anastatica in cinquanta copie, da regalare ad altrettanti destinatari come cadeau natalizio.

Nel 1924, l’ultimo discorso di Matteotti alla Camera, dieci giorni prima di essere rapito e ucciso a pugnalate. L’aggressione fascista a Toscanini, nel maggio 1931 a Bologna, mentre il maestro, irriducibile avversario di Mussolini, stava entrando al Teatro Comunale per dirigere un concerto. La  storia lunga e tormentata del voto alle donne. Nel 1950, il racconto dell’eccidio operaio di Modena da parte di Gianni Rodari, inviato de L’Unità. Nel 1954 il caso Montesi, sesso e potere.

Nel 1966, una storia che vede protagonista lo stesso Giorgio Frasca Polara, neo cronista parlamentare, ma anche inviato: la battaglia contro lo scempio edilizio della Valle dei Templi, dopo la frana che nel luglio aveva devastato Agrigento, condotta assieme all’allora direttore de L’Unità Mario Alicata (che morì d’infarto poche ore dopo la conclusione del dibattito parlamentare).

Ancora, l’affare Lockheed e la resa di Leone; l’inizio di Tangentopoli, con Mario Chiesa colto con le mani nel sacco mentre, febbraio 1992, incassava una tangente di sette milioni di lire per favorire un appalto al Pio Albergo Trivulzio; l’ultima lettera di Nilde Iotti, dettata a Frasca Polara dal letto di una clinica, il 22 novembre 1999.

Un libro che, come sottolinea Paolo Franchi nella postfazione, è “un regalo a chi vorrà leggerlo”, ma soprattutto “ai colleghi più giovani, perché, se lo vorranno, potranno trovarci non solo cronache dettagliate e assai acute di passaggi chiave, noti e meno noti, della nostra storia, ma pure una lezione di stile, molto utile in tempi come i nostri, nei quali dello stile, o degli stili, sembra essersi smarrita ogni traccia”.