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Su “StampToscana” la recensione di Gramsci giornalista

Questo l’articolo uscito il 18 maggio scorso su StampToscana

Da “Tessere” l’appassionata riflessione di Gramsci sul giornalismo

di STEFANIA VALBONESI

Firenze – Un aspetto non molto studiato eppure ritenuto, dallo stesso Gramsci, prioritario nella sua vita, nella sua formazione e persino nelle parole con cui si autodefinisce, come testimonia il verbale di interrogatorio ricordato nella prefazione di Luciano Canfora, è l’oggetto del secondo libro della casa editrice Tessere: Antonio Gramsci, Il giornalismo, il giornalista.

Un libro illuminante che racchiude 67 degli oltre 1.500 articoli scritti nei sedici anni intercorrenti fra il 1910, quando scriveva su “L’Unione Sarda”, e il 1926, anno in cui fu incarcerato, dopo aver fondato L’Unità nel 1924; 22 lettere scritte prima e dopo l’incarcerazione in cui si tratta di giornalismo e 38 note dei Quaderni sull’argomento, più una nota rimasta finora senza eco.

Un libro illuminante su molti aspetti della questione giornalismo-giornalista, in quanto mette in luce con forza la profonda significanza di ruolo di testimone “parlante” da un lato, ma anche di “facitore” d’opinione dall’altro, che la figura del mestiere storico assumeva nella società in particolare del primo dopoguerra, dove l’entrata delle masse sul palcoscenico della storia dava rilevanza a quello che ben poteva presentarsi come il primo, e per allora l’unico, vero strumento di comunicazione-informazione capace di incontrare la collettività allargata del popolo.

Un’operazione preziosa, con cui si compie una scelta precisa: consegnare alla storia e alla memoria storica una delle più profonde letture del “mestiere” di giornalista. Preziosa ancora di più in quanto con l’irrompere del web e del giornalismo on line nella storia, non possiamo nasconderci che quello stesso mestiere ne sta uscendo profondamente cambiato, almeno per quanto riguarda la differenziazione sempre più profonda che avviene e sta avvenendo fra “comunicatore” e giornalista.

Il libro, “voluto” dal fondatore della casa editrice Tessere, Daniele Pugliese, vice direttore dell’ex-quotidiano comunista, con un gruppo di amici, nell’ottantesimo della morte di Antonio Gramsci, avvenuta nel ’37, curato dallo storico Gian Luca Corradi, bibliotecario della Nazionale, prefazione di Luciano Canfora e postfazione di Giorgio Frasca Polara, per 40 anni firma di spicco de “l’Unità”, si afferma come una mappa necessaria posta proprio nel momento dell’evoluzione-passaggio più estremo del mestiere.
In questo senso, le riflessioni di Gramsci sono non solo luccicanti di quella lucidità che è ormai nota a estimatori e detrattori del grande pensatore, ma anche estremamente stimolanti. Una per tutte, la frase, riportata sempre da Canfora ma presente nelle prime pagine del libro, che dà un ritratto ancora perfetto ma anche spietato dei “giornalisti”. Entrando nel merito del ruolo degli intellettuali, tema che fu sempre molto caro a Gramsci, scrive:
“Il tipo tradizionale e volgarizzato dell’intellettuale è dato dal letterato, dal filosofo, dall’artista. Perciò i giornalisti, che ritengono di essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i “veri” intellettuali”. Che potrebbe, a ben guardare, costituire anche una lapidaria critica a certa prosopopea diffusa nella categoria, in particolare quella tutelata da contratti ormai irraggiungibili per schiere e schiere di paria, misconosciuti o sconosciuti del tutto.

Dunque, ricapitolando, non si può evitare, leggendo queste pagine lucide e bellissime sul mestiere, il ruolo, i doveri del giornalista e la “missione” del giornalismo (…dei media), una certa, involontaria, malinconia. Perché l’inevitabile domanda, cosa avrebbe pensato Gramsci del decadimento delle condizioni in cui sono costretti i giornalisti (pubblicisti o meno, Gramsci stesso lo era, pubblicista), sorge spontanea davanti agli spunti e alle interessanti provocazioni del testo e del dibattito che accende.

Infine, un’ultima annotazione: l’importanza della rilettura delle note e degli scritti del Gramsci giornalista sul giornalismo, non può tacere l’indicazione che ne viene per i media “futuri”. Infatti, nonostante la rarefazione della rete, la disconnessione che la stessa velocità dell’informazione crea col reale, non vien meno la necessità di utilizzare le indicazioni gramsciane nel senso di una informazione “vera”, capace di creare una solida “formazione” in senso etico-politico della società.

Antonio Gramsci, Il giornalismo, il giornalista. Scritti, articoli e lettere del fondatore de “l’Unità”

a cura di Gian Luca Corradi

casa editrice TESSERE

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