Lo potremmo definire “il carcere dei carceri”, e non solo per l’ampio immaginario cinematografico che ne ha costruito la fama di inferno in terra per detenuti dalla fedina penale efferata. Anche nella realtà era così: una prigione su di un’isola da cui era impossibile evadere, che sembra ispirata a quella del Conte di Montecristo di Alexandre Dumas.
Alcatraz, inteso come carcere di massima sicurezza, aprì i cancelli l’11 agosto 1934 e ottemperò al suo tristo compito per 29 anni, fino al primo giorno di primavera del 1963. Il nome (che in spagnolo significa pellicano) è quello dell’isola su cui sorge, due chilometri al largo della California, tra le correnti gelide e le intemperanze del Pacifico di fronte a San Francisco.
Ha ospitato i peggiori criminali, quelli ritenuti ingestibili negli altri carceri, in un regime di vita che verrebbe da definire proporzionato alle loro colpe se non suonasse come la riproposta della legge del taglione in chiave moderna. Da Al Capone in giù, Alcatraz è stato domicilio coatto di una bella fetta di malavita americana. Tra tentativi di fuga, rivolte sanguinose e punizioni atroci, è entrato nella leggenda e vi è rimasto anche dopo la chiusura, come luogo infernale per antonomasia.
Oggi Alcatraz è tornata a essere una roccia in mezzo al mare. Quel che resta del carcere è meta di visite turistiche.