È una data che si vorrebbe di riconciliazione, perché grazie a un’idea di John Convers pochi giorni dopo la morte di Martin Luther King si avanzò la proposta che questo giorno diventasse una festività nazionale in suo onore. Ma la storia di questa festa è, in piccolo, la storia del problema razzista in America. L’idea di Convers non venne accolta, ma loro non si diedero per vinti. Per 15 anni, in ogni seduta parlamentare, come novelli Marco Porcio Catone (che ogni volta nel Senato di Roma – lo si ricorderà – diceva la famosa frase «Carthago delenda est») provarono lo stesso a far passare la loro iniziativa. Inutilmente. Ci riuscirono parzialmente solo nel 1979, quando convinsero i deputati della Camera dei Rappresentanti ma non quelli del Senato.
Gli americani non razzisti e non indifferenti organizzarono diverse marce in favore di questo fatto. Ma aderirono solo pochi stati (tre tra cui la California). Nel 1980 ci fu una manifestazione a questo proposito, una grande manifestazione a cui parteciparono più di centomila persone.
Finalmente nel 1983 con 338 voti contro 90 alla Camera e 78 contro 22 al Senato, la proposta divenne legge. A firmarla fu Ronald Regan. Il decreto presidenziale la istituiva il terzo lunedì di gennaio. Il primo Martin Luther King Day venne dunque osservato il 20 gennaio dell’86. Ma non tutti i 50 Stati la riconobbero – ma quanto sono testardi i razzisti americani – e alcuni di loro – questa si chiama ipocrisia politica – la celebrarono sì, ma con nomi diversi.
Finalmente nel 1992 gli ultimi due stati refrattari (Arizona e New Hamshire) capitolarono e il 18 gennaio del ’93 il Martin Luther King Day divenne festa in tutti gli stati USA. Un piccolo episodio, certo, ma la dice lunga sulle difficoltà e sulla necessità di lottare per affermare i diritti civili.