DAILY LA DATA

23 maggio 1498
Morte di Savonarola

Il conflitto aperto con il clero mise fine alla sua vita e alla sua visione utopistica della realizzazione terrena di un’umanità "perfettamente cristiana"

Firenze, il 23 maggio 1498, vigilia della Ascensione, gli ultimi drammatici momenti di Girolamo Savonarola, ascetico profeta di un rinnovamento nei costumi corrotti della Chiesa e di una riforma nelle istituzioni civili della città. Il conflitto aperto con il clero mise fine alla sua vita e alla sua visione utopistica della realizzazione terrena di un’umanità “perfettamente cristiana”.

Alle nove del mattino frate Girolamo Savonarola e i due confratelli che ne condividevano la sorte avevano già ascoltato la messa e si erano anche comunicati. Insomma erano pronti per morire. Sulla soglia di Palazzo Vecchio un confratello strappò loro l’abito: quella sorta di degradazione fu il primo atto dell’atroce cerimoniale. Scomunicato dal papa e giudicato da un tribunale che aveva già deciso la sua morte, frate Girolamo guardò la folla che riempiva la piazza, poi percorse la passerella che dall’angolo del palazzo portava al patibolo. Un vescovo si parò davanti ai tre condannati per un’ulteriore degradazione, ma quando ebbe di fronte frate Girolamo sbagliò la formula e disse: «Io ti separo dalla Chiesa militante e trionfante». Savonarola lo corresse: «Solo dalla militante: l’altro non sta a te». Il vescovo dovette ripetere la formula.

Ormai frate Girolamo non era che un rifiuto umano da consegnare al carnefice e il magistrato lesse ad alta voce la sentenza di condanna dei tre frati, «intesi ed esaminati i loro turpissimi delitti». Ai piedi della forca i tre recitarono il credo e si lasciarono mettere il cappio al collo: furono impiccati per primi i due compagni, Savonarola fu terzo. Fu soltanto dopo l’impiccagione, quando i tre corpi penzolarono inerti, che i carnefici accesero il rogo. Forse a causa del gran calore, o forse in un ultimo spasimo dell’agonia, parve che il braccio di frate Girolamo si levasse quasi a benedire, ma una fitta gragnuola di sassi, dicono, investì il corpo. Il braccio si riabbassò. Prima di sera ciò che restava dei tre corpi fu gettato nelle acque dell’Arno perché nessuno ne conservasse la minima reliquia.