DICONO DI NOI

Gramsci giornalista per la Società Dante Alighieri

“Apice” è la rivista della Società Dante Alighieri che ha dedicato il proprio ultimo numero – anno II, n. 2, luglio-settembre 2017 – appena uscito ad Antonio Gramsci di cui lo scorso anno ricorreva l’ottantesimo anniversario della morte. Il volume monografico è ricco di preziosi contributi tra cui merita segnalare quelli di Giuseppe Vacca, Aldo Accardo, Silvio Pons, Giorgio Fabre, Daniele Maria Pegorari, Maria Luisa Righi e Gianni Fresu. Il volume contiene un articolo di Gian Luca Corradi, curatore del volume di Antonio Gramsci Il giornalismo, il giornalista edito da TESSERE con la prefazione di Luciano Canfora e la postfazione di Giorgio Frasca Polara. Lo riproduciamo di seguito:

Benché la pubblicazione della vasta produzione giornalistica di Antonio Gramsci sia iniziata fin dagli anni Cinquanta – subito dopo l’uscita, voluta da Palmiro Togliatti con la curatela di Felice Platone e la consulenza di Piero Sraffa, fra il 1948 e il 1951 per i tipi della Einaudi, dei Quaderni dal carcere, ai quali già furono immediatamente aggiunte le recensioni comparse su “l’Avanti!” nella rubrica “Teatri”, a cui il giovane redattore della casa editrice torinese, Italo Calvino, dette il titolo di “Cronache teatrali” – in nessuna delle numerose opere uscite, contenti appunto quegli articoli di giornale, è mai stata data una specifica e sufficiente sottolineatura della passione e della determinazione con cui intraprese e perseguì la professione di giornalista quello che è considerato il principale fondatore del Partito comunista italiano ed una delle più importanti figure del pensiero del Novecento.

Gli Scritti giovanili: 1914-1918, usciti nel 1958; L’Ordine nuovo: 1919-1920, uscito nel 1954; Sotto la Mole: 1916-1920, uscito nel 1960; Socialismo e fascismo: l’Ordine Nuovo 1921-1922, uscito nel 1971 e La costruzione del Partito comunista: 1923-1926, anch’esso uscito nel 1971, attingono quasi interamente agli oltre 1.500 articoli che su diverse testate, alcune proprio da lui fondate e dirette, pubblicò fra il 1910, appena diciannovenne, fino al momento dell’arresto avvenuto l’8 novembre 1926.

Attingono e danno conto della provenienza, perché “Sotto la Mole” era il titolo della rubrica di cronaca varia che – giunto da poco a Torino per compiere gli studi universitari – Gramsci tenne dal 5 dicembre 1918 al 1920 nell’edizione piemontese dell’“Avanti!”, quotidiano del Partito socialista italiano fondato il 25 dicembre 1896 da Leonida Bissolati (chiuderà nel novembre 1993 dopo la tragica e triste fine di quella gloriosa storia); edizione che si stampava in via Arcivescovado 3 a Torino ed alla quale collaboravano anche Giuseppe Amoretti, Alfonso Leonetti, Mario Montagnana, Felice Platone.

E perché fu una creatura in massima parte gramsciana “L’Ordine Nuovo”, la testata che, a partire dal 1 maggio 1919 fino al 24 dicembre 1920, uscì in edizione settimanale; poi in edizione quotidiana – con la dizione prima “quotidiano del Partito comunista” e quindi “organo del Partito comunista” – dal 1 gennaio 1921 fino al 25 novembre 1922; infine, dal 1 marzo 1924 fino al marzo 1925, trasferita la redazione a Roma, a periodicità quindicinale e in modo discontinuo con gli ultimi 8 numeri.

Ma creatura gramsciana fu anche “La Città futura”, numero unico del giornale dei giovani socialisti uscito l’11 febbraio 1917 che l’insofferente rivoluzionario, ancora socialista ma già critico con il riformismo, compilò quasi interamente da solo per scuotere i torpori di una sinistra che non si avvedeva di quanto stesse mutando nello scenario delle lotte sociali su scala internazionale.

E, soprattutto, creatura gramsciana fu “l’Unità”, storica, autorevole e grandemente diffusa testata del quotidiano che egli fondò il 12 febbraio 1924 e, purtroppo, proprio recentemente è stato sepolto.

Di questo debito degli scritti gramsciani alla sua attività giornalistica danno conto anche i volumi Scritti 1913-1926, usciti fra il 1980 e il 1987; Cronache torinesi: 1913-1917 del 1980; La città futura: 1917-1918, del 1982; L’Ordine Nuovo: 1919-1920 del 1987.

Ma i suoi articoli – che egli stesso, scrivendo alla cognata Tatiana dal carcere di Turi nel 1931, ebbe a dire contavano «tante righe da poter costituire 15 0 20 volumi da 400 pagine» – sono stati impiegati nell’attività editoriale succeduta alla sua tragica morte prevalentemente per dar conto del suo pensiero politico, filosofico, letterario, critico. Quasi che i giornali su cui non solo aveva scritto, ma che aveva fondato, organizzato, impostato, diretto, seguito, fossero solo il “supporto” di cui aveva dovuto avvalersi per compilare una complessa opera di riflessioni e studi, particolarissima e difficilmente classificabile, che altrimenti non avrebbe potuto portare a termine.

La realtà è un’altra. È che Antonio Gramsci, da quando, appena diciannovenne, nel luglio del 1910, si rivolse al suo insegnante di lettere del liceo Dettòri di Cagliari, Raffa Garzìa, per chiedergli di collaborare a “L’Unione Sarda”, il più diffuso quotidiano dell’isola di cui Garzìa era anche direttore, fino a quando, il 9 febbraio 1927, venne sottoposto ad interrogatorio nel carcere di Milano, fu e volle essere innanzitutto un giornalista.

E questa tenace volontà – pur nell’impedimento a cui fu costretto, come disse il pubblico ministero Isgrò al termine della sua requisitoria, per «impedire a questo cervello di funzionare» – proseguì nei 10 dei 20 anni a cui fu condannato, durante i quali poté ancora vivere: lì, tra le mura di Regina Coeli, di Ustica, di San Vittore e infine, prigioniero n. 7.047, di Turi, continuò ad occuparsi di giornali, a leggerli, commentarli, criticarli, pensarli, a riflettere su come dovessero essere fatti perché riuscissero a parlare a chi li avrebbe letti, a quei contadini e a quegli operai, a quei diseredati del Sud e del Nord che, fondando “l’Unità”, proprio con questo nome, unità, avrebbe voluto tenere insieme, tessere.

A questa sottovalutazione della passione giornalistica di Antonio Gramsci, nell’ottantesimo della sua morte, ha tentato di porre rimedio la giovane casa editrice TESSERE (www.tessere.org) – fondata da Daniele Pugliese, per 25 anni giornalista proprio a “l’Unità” – che ha pubblicato un libro intitolato Antonio Gramsci Il giornalismo, il giornalista. Scritti, articoli, lettere del fondatore de “l’Unità”, affidando a chi sta scrivendo il compito di curarlo, in virtù dei miei studi storici e, lavorando alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, in particolare curando la sezione periodici, alla facilità di accesso alle fonti primarie necessarie alla stesura del volume.

Un libro che si avvale della preziosa ed acuta introduzione di un grande conoscitore dell’opera gramsciana, Luciano Canfora, docente di Filologia greca e latina all’Università di Bari ed autore di Gramsci in carcere e il fascismo (Salerno, 2012) e dell’altrettanto appropriata e arguta postfazione di Giorgio Frasca Polara, a lungo cronista parlamentare de “l’Unità” e docente di giornalismo.

Ad onor del vero alcune pubblicazioni già avevano messo in evidenza questo aspetto trascurato dell’attività gramsciana, sottolineando giustamente l’insostituibile ed originalissimo contributo del suo pensiero soprattutto nel campo della filosofia politica, delle dottrine politiche, della critica letteraria, dello studio della società.

Un volumetto pubblicato dagli Editori Riuniti nel 1991 dal titolo Il giornalismo, nel quale comparivano le pagine dei Quaderni dedicate all’argomento; un e-book del 2015 delle edizioni L’Universale curato da S. Poma intitolato Il giornalista, contenente ……; e un volume a cura di F. Denunzio dal titolo Sul giornalismo. Un percorso attraverso i “Quaderni del carcere” della Orthotes Editrice di Napoli uscito nel 2017.

Analogamente si deve dare atto che i quattro volumi dei prestigiosi “Meridiani” della Mondadori curati da Franco Contorbia dedicati al Giornalismo italiano dal 1860 al 2001 dedicano la dovuta attenzione all’attività giornalistica di Gramsci, occupandosi specificamente di lui nell’introduzione dello stesso Contorbia al secondo volume (1901-1939) e pubblicando – a fianco di articoli di Luigi Barzini, Gaetano Mosca, Ugo Ojetti, Antonio Fogazzaro, Alfredo Oriani, Giovanni Pascoli, Antonio Albertini, Giuseppe Antonio Borgese, Gatano Salvemini, Benedetto Croce, Paolo Valera, Antonio Scarfoglio, Gabriele D’Annunzio, Benito Mussolini Giuseppe Prezzolini, Matilde Serao, Filippo Tommaso Marinettti, Piero Jahier, Mario Missiroli, Luigi Einaudi, Piero Gobetti, Luigi Salvatorelli, Luigi Albertini, Cesco Tomaselli, Orio Vergani, Mario Soldati, Mino Maccari, Giovanni Comisso, Curzio Malaparte ed altri – 4 pezzi del membro italiano della III Internazionale: La luce che s’è spenta (1915, “Il grido del popolo”), La rivoluzione contro il “Capitale” (1917, “Avanti!”), Il popolo delle scimmie (1921, “l’Ordine Nuovo”), Il nullismo dell’Aventino (1924, “l’Unità”).

Ma finora non era mai stata pienamente sviluppata la disamina dell’attività di teorico delle comunicazioni di massa – così devono essere a pieno diritto intese le note dedicate al giornalismo contenute nei Quaderni –, di insegnante della professione e puntuale descrittore della pratica in redazione, nonché della grande diversità di generi giornalistici adottati, della vastità dei temi trattati, dell’attenzione alle tante sfaccettature della cronaca, la società, il costume, la politica, le arti, la musica, il teatro, il cinema, la letteratura.

Giorgio Frasca Polara

Hanno ovviato a questa lacuna, a questa “dimenticanza” (viene da domandarsi quanto “inconsapevole”), il paziente lavoro del sottoscritto, l’intuizione di Daniele Pugliese e la sua determinazione nel realizzare il volume, l’attenzione professionale di Frasca Polara e lo scrupolo filologico di Luciano Canfora, quest’ultimo – a dire il vero e senza alcuna notazione critica, anzi da lui stesso evidenziato – non pienamente compiuto, essendo nella prefazione accennati alcuni temi specifici dell’attività giornalistica di Gramsci – lo stile proprio, per esempio, ed il confronto con quello di Mussolini o di Missiroli – che da soli potrebbero costituire, con i dovuti approfondimenti, singoli saggi.

La scelta è stata quella di riproporre – seguendo la raccolta che fu fatta nell’edizione originaria condotta da Felice Platone per Einaudi prima e per gli Editori Riuniti poi, prima che Valentino Gerratana, nel 1975 sempre per Einaudi, riproponesse l’edizione critica che segue l’articolazione originaria di quelle pagine – le 38 note sparse in 12 dei 33 Quaderni che Gramsci compose dal 1929 al 1935, dove si esprimeva come teorico del mestiere ed esperto delle tecniche di comunicazione, con l’aggiunta di un’altra, la prima intitolata Gli intellettuali, i giornalisti che originariamente apriva il volume Gli intellettuali, essendo anche lì trattato il tema in questione.

E poi 67 pezzi tra gli oltre millecinquecento articoli attribuiti a Gramsci che uscirono su varie testate periodiche: dai primordi quando nel 1910, a diciannove anni iniziò a scrivere su “L’Unione Sarda” per poi proseguire, con indefessa passione giornalistica fusa a quella politica, su numerose testate, fino al momento dell’arresto avvenuto l’8 novembre 1926, tenendo conto del contesto storico di riferimento, della loro cronologia, degli argomenti trattati, della diversità di genere, dell’ancora attualità dei contenuti.

Infine una selezione di 22 lettere, scritte prima e dopo la carcerazione, dedicate sempre alle questioni attinenti ai giornali e al modo di fare informazione.

Aveva solo 46 anni Antonio Gramsci quando morì il 27 aprile 1937 nella clinica Quisisana di Roma dove aveva potuto essere ricoverato solo pochi giorni prima, quando le sue condizioni di salute erano già drammatiche – un tentativo del regime fascista, si deve dire, di evitare che quell’uomo si spegnesse fra le mura di una prigione e che lo sdegno per una tale ingiustizia innescasse una giusta ed adeguata rivolta – e fino all’ultimo non smise di prestare attenzione a quanto i giornali pubblicavano.

Luciano Canfora

Quando venne arrestato, nell’interrogatorio a cui fu sottoposto il 9 febbraio 1927 nel carcere di Milano, dichiarò orgogliosamente – lo ricorda Luciano Canfora nella prefazione al volume – la propria identità professionale di «pubblicista ed ex deputato al Parlamento».

Era costume dell’epoca e probabilmente inevitabile necessità, affiancare la passione e l’impegno politico, all’attività giornalistica, al pieno utilizzo del principale mezzo di comunicazione di massa, il quotidiano, finalmente, all’inizio del Novecento, non più appannaggio solo delle classi colte ed agiate, ma anche strumento di crescita personale ed elevazione sociale negli strati medi e più bassi della popolazione. In questo non si distinse il fondatore del Partito comunista da quello che fecero, oltre a Mussolini, molti altri.

«Tutti o quasi i capi politici e tutti i leader rivoluzionarî otto-novecenteschi – scrive nella prefazione Canfora – erano stati alacri “giornalisti”: da Cavour, a Mazzini, a Marx, a Turati, a Lenin, a Jaurès. La scelta del giornalismo era dunque l’ovvia conseguenza dell’opzione per la politica. Diciamo anche che la “grande” guerra aveva sospinto verso il giornalismo una parte non piccola del mondo accademico, che infatti combatté – sulle pagine dei quotidiani – la sua guerra: in Germania, in Francia, in Italia in particolar modo. Era questo un aspetto del più generale fenomeno dell’ingresso delle masse nella politica attiva, essendo il giornale quotidiano, all’epoca, strumento di gran lunga più pervasivo e influente che non le attuali, esangui, testate».

Ma Gramsci non solo scrisse, non solo fondò e diresse giornali, non solo fece il lavoro sporco della redazione – cronista, segretario di redazione, correttore, titolista, direttore editoriale e amministrativo –, ma trasportò tutta questa esperienza e quanto scrupolosamente aveva studiato riguardo all’argomento in considerazioni che a pieno titolo lo ascrivono tra i più autorevoli “guru” dei mass-media: da Vance Packard a Derrick de Kerckhove, da Umberto Eco a David Randall, per dirne solo qualcuno.

Perciò ha ragione Frasca Polara quando scrive che Gramsci fa suo «il principio che il giornalismo debba essere insegnato, che non sia razionale lasciare che il giornalista si formi da sé casualmente, attraverso la “praticaccia”». Ha ragione quando nota che Gramsci «ha un’idea: che il problema della scuola professionale possa essere risolto nell’ambito della stessa redazione, trasformando o integrando le periodiche riunioni redazionali in scuole organiche di giornalismo, “con l’invito ad assistervi anche di elementi estranei alla redazione in senso stretto: vere scuole politico-giornalistiche”. Le scuole (quali buone, quali mediocri, quali pessime) ora esistono, ma completamente avulse dalle tradizionali riunioni di redazione».

Se, recluso in cella, poté riflettere così acutamente sul valore dei media e su come operare dentro di essi, al punto tale da chiedersi, in maniera apparentemente retorica e con una drammatica preveggenza dinanzi al panorama attuale, «come potrebbe essere ritenuto capace di amministrare il potere di Stato un partito che non ha o non sa scegliere (il che è lo stesso) gli elementi per amministrare bene un giornale o una rivista?» è perché prestava attenzione addirittura alla “veste grafica” di un giornale.

È dalla nota così intitolata nei Quaderni che è tratta questa citazione, la quale significativamente proseguiva così: «Viceversa: un gruppo che con mezzi scarsi sa ottenere giornalisticamente risultati apprezzabili, dimostra con ciò, o già con ciò, che saprà amministrare bene anche organismi più ampi ecc.».

Prestava dunque attenzione agli aspetti grafici, e quindi al formato (al quale, precisa, «tengo molto, perché so quanto queste piccole cose abbiano invece una grande importanza pratica nella diffusione») che comporta l’attenzione alla suddivisione in colonne del giornale e alla scelta dei caratteri con cui comporlo; alla disponibilità di linotype e rotative in tipografia; alla capacità dei fornitori di garantire la qualità e i quantitativi necessari di carta per “andare in macchina” con il miglior risultato nella stampa, il dispendio minore di sprechi e con il massimo del risparmio; alla tiratura e ai modi per incrementarla; alla rete di distribuzione e agli aspetti amministrativi. E prestava attenzione all’organizzazione della redazione: il numero e il ruolo dei redattori, dei corrispondenti, le loro responsabilità, la suddivisione degli incarichi, il compito di verificare e correggere gli articoli.

Significativa da questo punto di vista è la lettera –inviata a Ruggero Greco il 2 gennaio 1924 da Vienna a Milano, dove si deve stampare con periodicità quindicinale la terza serie de “l’Ordine Nuovo” – nella quale Gramsci si sofferma sull’importanza del nome della testata e su cosa esso possa suscitare nei futuri lettori.

Il 12 settembre dell’anno precedente, da Mosca, aveva inviato una lettera al Comitato esecutivo del Pcd’I proponendo per la testata del quotidiano che si sarebbe voluto stampare «come titolo “L’Unità” puro e semplice, che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale, perché credo che dopo la decisione dell’esecutivo allargato sul governo operaio e contadino, noi dobbiamo dare importanza specialmente alla questione meridionale, cioè alla questione in cui il problema dei rapporti tra operai e contadini si pone non soltanto come un problema di rapporto di classe, ma anche e specialmente come un problema territoriale, cioè come uno degli aspetti della questione nazionale».

Sottendeva significati politici molto importanti in quel momento storico riguardanti l’ordinamento dello Stato che si sarebbe potuto costruire in Italia nel pieno delle lotte proletarie a fronte dell’esperienza dei Soviet da poco avviata in Russia, ma sottendeva anche significati legati alla mai pienamente compiuta unificazione dell’Italia, al divario che divideva sotto molti aspetti il Sud dal Nord.

Ed infine sottendeva significati pertinenti proprio al giornale che di lì a pochi mesi – il 12 febbraio 1924 – si sarebbe cominciato a stampare a Milano: il “quotidiano fondato da Antonio Gramsci”, dizione apposta alla testata “l’Unità” dopo molti anni in cui era stato l’“organo del Partito comunista italiano”, ha rappresentato nel panorama della stampa italiana, e forse non solo italiana, un unicum, per via della sua autorevolezza, della completezza dell’informazione, della vastità della sua diffusione – l’unico giornale ad aver superato la tiratura sopra il milione di copie –, dell’ampiezza della platea dei suoi collaboratori, del prestigio delle firme che lo hanno editato, della ricchezza dei temi trattati, dell’apertura al dialogo con altri orientamenti culturali e politici.

In quel quotidiano, censurato dal regime fascista, stampato clandestinamente, pubblicato in due edizioni nazionali ed articolato in numerose edizioni locali – Torino, Genova, Milano, Bologna ed anche la maggior parte delle altre città dell’Emilia Romagna, Firenze, Roma, Napoli – chiuso più volte e più volte riaperto, si è rispecchiata la storia dell’Italia; la vastità delle sue potenzialità intellettuali; la particolarità delle esperienze politiche tentate per garantire al Paese una democrazia compiuta e coerente con gli ambiziosi obiettivi che aveva dato la elevata Costituzione messa a punto dopo la brutta esperienza del ventennio e della guerra che molti avrebbero voluto fosse l’ultima in assoluto, tanto da creare dopo di essa un organismo che unisse tutti gli Stati del pianeta.

Val perciò la pena segnalare che, proprio per iniziativa del presidente di TESSERE, è stata fondata una associazione – “Sotto la Mole”, come la rubrica che Gramsci tenne nella sua prima esperienza giornalistica all’“Avanti!” di Torino – il cui obiettivo è la salvaguardia e la messa in rete degli archivi pubblici e privati attinenti a “l’Unità” e alle altre testate – “Rinascita”, “Vie Nuove”, “Noi Donne”, “La città futura”, ecc. – nate nell’orbita del Partito comunista italiano.

Ma, per tornare al giornalismo di Gramsci e al volume che tenta di ricostruirne i contorni, è doveroso ricordare che fin dagli inizi della sua attività, egli si fece portatore di un nuovo ed inconsueto modo di fare giornalismo politico oltre che culturale, lontano per la sua originalità, dalla tradizione di mera propaganda e proselitismo del PSI.

Profetico appare il titolo Per la verità, riportato in uno dei suoi primi contributi giornalistici, come dire un titolo programmatico: «La menzogna, la slealtà, l’insidia subdola vorrebbero uccidere la Storia, che è verità, che è lealtà, che è chiara e diritta coscienza».

La Storia lotta contro la menzogna, la quale «diffusa dalle agenzie, viene moltiplicata in milioni di fogli dalle migliaia di giornali, fortilizi delle casseforti» (Le astuzie della storia, in “Avanti!”, ed. piemontese, 18 aprile 1919).

Elencando gli elementi che connotavano il tratto giornalistico di Gramsci, animato dalla passione politica e dalla militanza, ed individuando i valori che egli introdusse nel suo modo nuovo di fare propaganda tra gli operai, Paolo Spriano ha scritto: «fervore idealistico; crocianesimo per ribellione al positivismo della generazione socialista precedente e come modello del saper vivere senza religione rivelata ma con la stessa tensione etica; passione di giustizia sociale unita a un rinnovamento del costume». (Antonio Gramsci, Lettere dal carcere. Una scelta a cura di Paolo Spriano, Torino, Einaudi, 2011, p. X)

I suoi articoli erano raramente firmati, Gramsci aveva fatto proprio il principio avanzato da Serrati che un giornale proletario dovesse essere anonimo e non dovesse servire da vetrina a nessuno, e neanche accolse mai in seguito le proposte che gli vennero avanzate da più parti di pubblicarli tutti insieme in un volume.

Articoli non per questo meno identificabili per la brillante vena creativa di uno scrittore attento e curioso, penetrante nell’analisi e al tempo stesso osservatore acuto della vita sociale dalla forte vena polemica; articoli dallo stile innovativo dai quali emerge un retroterra culturale da studioso della società.

Articoli altresì connotati da un campionario sbalorditivo per invenzione lessicale, da esercizio stilistico di raffinata retorica spesso segnati da una graffiante vis polemica. (si veda a questo riguardo l’interessante Una strategia di verità: il giornalista integrale in A. D’Orsi, Gramsciana. Saggi su Antonio Gramsci, Modena Mucchi, 2014, pp. 71-99).

Ma al contempo il giornalismo gramsciano esprime la cultura della concretezza e della disciplina e non solo quella dell’ideologia, attento ai dati, che necessita di acquisire la documentazione, che rifugge la faciloneria ed è proteso sempre a dare spessore storico e teorico ai fatti che racconta.

Sottolinea giustamente Marco Gervasoni nell’introduzione agli Scritti scelti pubblicati dalla BUR nel 2007 che «a chi faceva notare che il settimanale “L’Ordine Nuovo” era scritto in linguaggio difficile, Gramsci rispondeva con parole rimaste famose, in cui l’elogio della difficoltà degli articoli, si accompagnava a una valutazione dell’intelligenza degli operai, da non considerare più come “bambini”. Era un modello pedagogico che rifiutava di considerare la classe operaia come appartenente al popolo, a cui parlare in tono semplicistico».

Nota il filosofo Alberto Madricardo, collaboratore della sezione di Venezia dell’Istituto italiano per gli studi filosofici e dell’Istituto Gramsci veneto nella recensione al volume di TESSERE dal titolo Gramsci. Il giornale, forma originale della politica pubblicata sulla rivista on-line Ytali il 30 maggio 2017: «I giornali – che, come scriveva Thomas Mann, sono il breviario moderno – possono essere strumento essenziale del loro risveglio. Diffondendo quotidianamente attraverso la stampa lo spirito critico si può ae-ducare – nel senso letterale di trar fuori – il proletariato italiano dal guscio di fatalismo in cui le classi dominanti l’hanno rinchiuso nei secoli. Esso deve imparare a guardare la realtà in controluce, saper ricostruire geneticamente gli stati di fatto, in modo che gli appaia chiaro che questi sono prodotto umano, e non imposti dalla natura. Per questo bisogna – scrive Gramsci – orientare il proletariato “dal senso comune al pensiero coerente e sistematico”. Il senso del possibile, una volta liberato, è respirato come ossigeno dagli animi: li risveglia, suscita in loro energie insospettate».

L’attività giornalistica di Gramsci – osserva Salvatore Francesco Romano nel volume Antonio Gramsci pubblicato dalla Utet nel 1965 – «copre i diversi campi nei quali quel generale fermento rinnovatore intendeva farsi valere: da quello della letteratura e del teatro, che egli affrontava in articoli sparsi e sistematicamente nei resoconti teatrali nell’”Avanti!”, al punto di vista filosofico e morale che sviluppava nel numero unico che la Federazione giovanile socialista pubblicava nel febbraio 1917 “La Città Futura”, a quello dei rapporti fra cultura e socialismo, fra marxismo e socialismo…».

Ed ancora, sempre Romano: «Piero Gobetti che si formò in quegli anni, e seguì da vicino la stampa socialista torinese, trovava le note di costume di Gramsci quasi modello esemplare di prosa polemica, “nella letteratura moderna italiana così povera di opere polemiche di stile” mettendone in rilievo “lo stile feroce incalzante, dialettico, serenamente rude”… Certi passi dei suoi corsivi di “Sotto la Mole” furono concepiti e scritti secondo il gusto letterario degli “elzeviri”, delle terze pagine dei giornali di allora, che in non pochi casi di altri scrittori di quella generazione».

Il fondatore del Pci, dunque, non si occupava solo di politica, ma anche di costume, società, musica, storia, teatro. Particolarmente intensa proprio l’attività di critico teatrale dove spesso la sua attenzione cadde su Pirandello che per lui aveva il merito di creare «delle immagini di vita che escono fuori dagli schemi soliti della tradizione».

Dalle pagine del nostro volume emerge dunque un Gramsci, ostinatamente e “volutamente” giornalista, deciso per questa strada a comprendere (ed a insegnare a come comprendere) la realtà che ci circonda. Con la fiducia in una possibile trasformazione, sia interiore che del mondo, attraverso anche un “giornalismo integrale” che soddisfi il bisogno dei lettori di apprendere le notizie ma che susciti e sviluppi al contempo interessi e bisogni, dando vita a nuovi interessi culturali.

Cultura, come scriveva su “Il Grido del Popolo” del 29 gennaio 1916, che «è coscienza di sé e la conoscenza di se stessi si fa attraverso gli altri, così come la conoscenza degli altri si fa attraverso se stessi».

Il compito di un giornale non sarà quindi quello di assecondare gli istinti dei suoi lettori, ma di creare una scala di valori – della cultura, della politica, dei fatti – e creare in questo modo nuova coscienza, nuova energia politica. Per fare questo con intelligenza serve una forte capacità di conoscenza. Per questo si devono evitare tutte le tendenze che minano la professione.

L’elenco di Gramsci è inesorabilmente assai esteso: «l’improvvisazione, il talentismo, la pigrizia fatalistica, il dilettantismo scervellato, la mancanza di disciplina intellettuale, l’irresponsabilità e la slealtà morale e intellettuale, lo scetticismo e il cinismo snobistico». Senza una adeguata formazione professionale, avverte Gramsci, le redazioni finiscono per assumere l’aspetto di «conventicole di profeti disarmati».

«Io non sono mai stato un giornalista professionista, che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella qualifica professionale». Queste parole, contenute in una lettera a Tatiana Schucht dell’ottobre 1931, testimoniamo al meglio l’’indomito spirito con cui Antonio Gramsci pensatore critico della modernità, aperto e non dogmatico, si è dedicato al giornalismo.

La lezione di Gramsci sul giornalismo che il volume di TESSERE mette in luce non è dunque solo un contributo alla memoria di un pensatore fondamentale per comprendere il presente, ma anche uno strumento a chi vuole decifrare il mondo d’oggi leggendo i giornali, navigando su internet, o intraprendendo la carriera di giornalista.

La rilettura del principale mestiere a cui volle dedicarsi restituisce così l’altro volto dell’intellettuale che viene per lo più letto in chiave politica, o anche di filosofo, storico, critico letterario, interprete di quel mondo «vasto e terribile», usando una sua nota espressione usata nelle lettere con i familiari. Sono le tante sfaccettature di un personaggio che a pieno titolo è considerato uno dei 5 italiani più studiati, tradotti e commentati dopo il XVI sec., e che è stato anche oggetto di appropriazioni politiche e strumentalizzazioni ideologiche.

Gramsci viene riscoperto incessantemente perché insegna a non rinunciare alla lotta, perché auspica una rivoluzione che nasca da un lavoro di preparazione culturale e pedagogica, una trasformazione “molecolare”: «La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri» (Socialismo e cultura in “Il grido del popolo”, 29 gennaio 1916)

Riunendo in questa pubblicazione le riflessioni teoriche, la «praticaccia» di «scritti alla giornata» ingiustamente destinati a «morire dopo la giornata», ma anche le più “intime” confessioni epistolari del fondatore de “l’Unità” riguardo al valore e al peso del giornalismo, confidiamo di aver dato un ulteriore contributo non solo alla memoria di un pensatore fondamentale per comprendere il presente ed uno strumento a chi vuole intraprendere la carriera di giornalista e ci rende pieni di orgoglio il giudizio che Paolo Franchi ha dato recensendo il nostro volume sul “Corriere della Sera” (Gramsci giornalista senza tabù. «Ci vuole l’articolo di un fascista», 30 maggio 2017) laddove scrive che questa raccolta «andrebbe letta e meditata, in particolare, da noi che facciamo questo mestiere, da chi di informazione, per un motivo o per l’altro, si occupa, e da chi più o meno professionalmente fa politica».

Val la pena, per concludere, ricordare, attingendo alla biografia di Gramsci scritta da Giuseppe Fiori, la lettera con cui il 1 luglio 1910 Raffa Garzìa, come si è detto insegnante d’italiano al Liceo Dettòri di Cagliari e direttore de “L’Unione Sarda”, dopo avergli negato, essendo già coperta, la corrispondenza da Ghilarza per il suo giornale, ma offrendogli quella da Aidomaggiore, un paese vicino, recapitò il suo primo tesserino da giornalista a quel «giovane solitario» fermamente intenzionato ad interessarsi «per curiosità intellettuale» a Marx in mezzo alla forsennata lettura di libri, riviste e giornali, e deciso anche ad avvicinarsi al mestiere: «Eccole la tessera desiderata. Benvenuta la sua collaborazione: ci mandi ora e in avvenire tutte le notizie di pubblico interesse e Gliene saremo grati noi e i lettori. Mi abbia intanto con sincero affetto».

Il 26 luglio di quello stesso anno – con la gratitudine di noi lettori, di ieri e di oggi – comparve su “L’Unione Sarda”, il primo di quegli articoli che Gramsci pubblicherà nei sedici anni successivi sul “Corriere universitario”, “Il Grido del Popolo”, “La Città futura”, “L’Avanguardia”, “Avanti!”, “Energie nove”, “L’Ordine Nuovo”; “Falce e Martello”, “Compagna”, “La Voce della Gioventù”, “Più Avanti!”, “Lo Stato operaio”, “L’Unità”, “La Correspondance Internationale”. L’articolo è intitolato A proposito d’una rivoluzione ed è siglato “gi”: Eccolo:

«Nei paesi circonvicini si era sparsa la voce che ad Aidomaggiore per le elezioni dovessero succedere fatti grandi e terribili. La popolazione voleva introdurre tutto d’un tratto il suffragio universale, cioè eleggere sindaco e consiglieri plebiscitariamente, e sembrava pronta a ogni eccesso. Il tenente dei carabinieri di Ghilarza, cav. Gay, seriamente preoccupato per questi sintomi, fece arrivare un intero corpo d’esercito, 40 carabinieri e 40 soldati di fanteria, meno male senza cannoni, e un delegato di pubblica sicurezza (sarebbe bastato da solo). All’apertura delle urne il paese era deserto; elettori e non elettori, per timore dell’arresto, si erano squagliati, e bisognò che le autorità andassero di casa in casa a stanare i restìi… Poveri mandorleti di Aidomaggiore! Altro che fillossera sono i soldati di fanteria».

L’articolo in formato pdf