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Una recensione su Facebook di “Questo è un uomo. Biografia appassionata di Primo Levi

Dalla pagina Facebook del poeta calabrese Giuseppe Condello.

A proposito di libri: Questo è un uomo di Daniele Pugliese. Il grande vero scrittore Primo Levi

di Giuseppe Condello

Primo Levi e la vita; Primo Levi e la scrittura… così possiamo identificare le due direttrici del percorso biografico dello scrittore piemontese seguite da Daniele Pugliese nel libro Questo è un uomo. Biografia appassionata di Primo Levi, TESSERE, 2017. Un libro che è un contributo non scontato su uno scrittore che ha attraversato la tragica vicenda del campo di sterminio di Auschwitz e il secolo novecentesco con una dignitosa testimonianza di misura e di una narratività non rinchiudibile all’interno di determinati stereotipi.

Primo Levi fu partigiano e poi perché ebreo internato nel campo di Auschwitz. Dalla esperienza dell’internamento e dal ritorno in Italia trasse ispirazione per i due libri, Se Questo è un Uomo e La Tregua. Libri di memorialistica, ma libri esistenziali, libri che rimangono nel parnaso della grande letteratura del novecento, libri sicuramente da ascrivere alla categoria della testimonianza diretta di indubbia valenza storica. Ma come esplicitato da Daniele Pugliese, bisogna domandarsi se Levi è da ricordare solo come lo scrittore di Se Questo è un Uomo e La Tregua, o se invece non sia stato, oltre che uno scrittore di memorialistica, un vero e proprio scrittore e tra i grandi del novecento.

Giuseppe Condello

Ripercorrendo, con una documentazione attenta, puntigliosa, ben assemblata, la biografia di Levi, Pugliese ci fa comprendere che prima ancora di essere definito dagli altri scrittori, il memorialista, Levi si sentiva in se stesso scrittore. Era il suo sentirsi scrittore connaturato alla sua considerazione che scrivere era ricerca, era essere quello che si è nella vita, anche in rapporto alle proprie attitudini. E se Levi diceva: «Che nella letteratura portava il chimico e che nel chimico portava la letteratura», allora il senso di ciò che è la scrittura per Levi sta nella ricerca continua di linguaggi che fondano un proprio essere concreto nel mondo, una propria condizione individuale e sistemica nella vita. Se Questo è un Uomo sembra andare in questa direzione: parlando del sé in quella esperienza tragica, che fu il campo di sterminio, e parlando delle vicende degli uomini e delle donne che si degradavano ad essere ciò che non erano mai stati, proprio per effetto di determinate condizioni storiche di oppressione, Levi mette l’accento sul connubio tra condizione individuale e condizione sistemica entro cui gli individui vivono; e ciò è affrontato con una naturale attenzione di razionalità, di misura, eludendo la logica degli aggettivi qualificanti e drammatizzanti. Non è lo stupore che bisogna suscitare e un forzato sentimento di sdegno, ma bisogna andare a descrivere, arrivare, tramite un narrato letterario autentico, a far comprendere ciò che è stato.

La misura e il senso di sé che non si distaccano dalle identità culturali e affettive, questo era anche Primo Levi. Daniele Pugliese ne traccia, con sforzo dovuto e efficace, una biografia dove non trova posto la retorica: il memorialista Levi è un grande scrittore e un uomo raro da trovare in un panorama culturale italiano del novecento dominato dal presenzialismo, dalla forma eccessiva del linguaggio e della comunicazione a discapito della sostanza della parola, della narrazione.

Primo Levi era ebraico, ma si incentrava il suo discorso sulla ebraicità. Affrontava le questioni politiche della ebraicità in termini obiettivi di carattere storico-civile che rifiutavano il dogma della facile contrapposizione. Per come riportato da Daniele Pugliese nel suo libro:

«Lui, scrive Stefano Jesurum, si definisce ebreo al venti, massimo venticinque per cento. Un ebreo anagrafico o, come lui stesso ironizza, di complemento: tuttavia per nessuna ragione al mondo rinuncerebbe ad esserlo».

È chiaro che lui attribuiva valore a quella percentuale di essere ebreo che lo faceva iscrivere nella ebraicità, ossia un certo modo di essere che è soprattutto assimilazione di precise radici culturali. Lui non ci avrebbe mai rinunciato, ma sapeva che quella era una delle identità formativo-esistenziali della sua vita.

Un altro aspetto però è quello di un Primo Levi risollevato dai pesi di una memoria ristretta o a corto raggio. Primo Levi ha attraversato buona parte del novecento, fino agli anni ottanta; affronta la modernità sia con gli occhi del chimico e del linguaggio della scienza che con la vocazione alla scrittura; una scrittura senza interruzioni concettuali, ma in cui i concetti si evolvono, ritornano, si complementano fino a cementificare un’arte illuministica e di ragione.

Il libro di Daniele Pugliese è illuminante anche per una scelta che è affettiva e giornalistica al tempo stesso: sarebbe stato troppo facile organizzare e narrare la biografia di Levi secondo una cronistoria solita, invece si è aperto il vento dei ricordi, delle dichiarazioni lasciate ai giornali, dei brani di libri, delle parole espresse da Primo Levi; così a prevalere non è una semplice cronaca degli avvenimenti, ma il tracciato pluri-concettuale e multi-tematico dell’uomo e dello scrittore Primo Levi.

E Primo Levi è stato uno sguardo umano, intimamente umano ad Auschwitz ed oltre Auschwitz, uno sguardo di profonda contemporaneità: un vero e grande scrittore.

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