È la sensazione che si prova davanti all’immagine (o, peggio, alla presenza) di un ragno, un topo, un pipistrello, uno scarafaggio o qualunque altro animale, oggetto o situazione possano provocare un senso di repulsione, accompagnato da un brivido e dal gesto istintivo di ritrarsi. Ognuno ha le proprie fobie, per cui i motivi per provare ribrezzo sono tanti quanti ne può contenere l’ultima edizione del DMS 5.
Curiosa è l’etimologia, che attinge proprio dalla parola brezza accompagnata dal prefisso intensivo re-, che solitamente viene considerata un venticello gradevole. Ma una forte brezza è come uno spiffero gelato che ti attraversa la schiena e produce un improvviso brivido, la pelle d’oca e il rizzarsi dei peli del corpo. Proprio come accade quando ci si trova di fronte a qualcosa di ripugnante: si ha una reazione fisica immediata, è il corpo che si ribella e vorrebbe fuggire via.
La parola ribrezzo è oggi usata soprattutto per esprimere disgusto in senso lato: non è l’immagine o la persona a provocarlo ma ciò che rappresenta, le sue idee o le sue azioni. Non a caso, cercando una foto per illustrare questa parola sono uscite in prima battuta soltanto immagini di politici (il primo in ordine d’apparizione è, giustamente, Mussolini; quello che ricorre più volte è Di Maio…) o dello spettacolo, mentre scarafaggi e serpenti bisogna proprio andarli a cercare. Insomma, la lingua ci racconta che anche le ragioni per provare ripugnanza si sono tristemente adeguate ai tempi.