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Sul “Quotidiano di Lecce”
l’ultimo libro di TESSERE

Queste è l’intervista a Marco Brando che Ilaria Marinaci del “Quotidiano di Lecce” ha pubblicato in occasione della pubblicazione del libro di TESSERE L’imperatore nel suo labirinto. Usi, abusi e riusi del mito di Federico II di Svevia.

L’imperatore, il mito e il castello… di bugie

di ILARIA MARINACI

Un’indagine storica condotta con lo stile dell’inchiesta giornalistica su Federico II di Svevia e su come la sua immagine sia arrivata fino ai giorni nostri con connotazioni diverse a seconda dei luoghi. Per i pugliesi è stato un sovrano illuminato e innovatore, mentre, nella Pianura Padana, sia lui che suo nonno, il Barbarossa, sono descritti come il prototipo dei nemici dei comuni della Lega Lombarda. Una forzatura storica che dalla retorica risorgimentale è passata a quella della Lega pre-salviniana di Pontida, visto che, in realtà, città come Pavia, Cremona, Como e Parma sono state quasi sempre alleate dell’Impero.

Tutto questo è L’Imperatore nel suo labirinto – Usi, abusi e riusi del mito di Federico II di Svevia (Tessere), il secondo libro dedicato allo “stupor mundi” dal giornalista e scrittore ligure Marco Brando, per anni redattore a Bari del “Corriere del Mezzogiorno”.

«L’uso e l’abuso politico della storia – spiega Brando – è un fenomeno contemporaneo molto forte. Dopo la caduta del Muro di Berlino alcuni paesi dell’Est hanno accentuato le proprie rivendicazioni nazionaliste tirando fuori argomenti risalenti al Medioevo, spesso inventati a tavolino. Il caso di Federico II è interessante perché è l’unico personaggio adorato in Puglia, rispettato ma non amato nel Sud Italia e considerato come emblema del nemico nel Nord Italia».

Il tema centrale del volume è proprio spiegare come mai in Puglia sia considerato come il re buono delle favole e altrove no.

Perché nell’introduzione lei mette Federico II in parallelo con Che Guevara o Marilyn Monroe?

«L’accostamento è un esempio un po’ estremo per dire che nell’immaginario collettivo certi personaggi assumono caratteristiche che hanno poco a che fare con la realtà. Le loro biografie vengono manipolate ed esaltate fino a diventare veri marchi. Il ritratto di Marilyn fatto da Andy Warhol e la foto del Che di Robert Capa sono diventati simboli del mito di questi personaggi più che della storia reale di cui sono stati protagonisti. Miti pop, e non a caso la copertina del libro ripropone, provocatoriamente, il busto della statua di Federico II al Palazzo Reale di Napoli in versione pop-art. Per i pugliesi lui è diventato il mito laico che fa da contraltare a quello religioso di Padre Pio».

Un destino simile è toccato anche ad altri personaggi storici?

«Attila, per esempio, è rappresentato come quello del “dove passa lui non cresce più l’erba”. Eppure nella cultura tedesca è una figura positiva che contribuì alla riunificazione dei popoli germanici fra la fine dell’Impero Romano e l’inizio del Medioevo. Vale lo stesso per Napoleone: oltralpe è un mito assoluto della francesità, mentre nei paesi che occupò, Germania e Spagna, è considerato un dittatore sanguinario».

Quali sono le ragioni dell’uso “mitizzato” della figura di Federico II in Puglia?

«Premettiamo che l’Apulia della sua epoca era tutto il Sud Italia, isole escluse, nella concezione medievale della geografia della penisola. Gli uomini di potere, ieri come oggi, sono i primi cultori di se stessi, ma la memoria di Federico, con la sua morte, è stata quasi cancellata da coloro che lo hanno sconfitto. Dopo l’Unità d’Italia, Castel del Monte era così diroccato che fu riscattato dallo Stato per pochi soldi. La sua figura fu rivalutata dopo la Prima Guerra Mondiale sulla scia di quanto stava succedendo nei paesi tedeschi e su input del regime fascista, che voleva esaltare le nostre radici imperiali. In Puglia si decise di puntare su Federico per rispondere a questa esigenza, anche se lui visse prevalentemente fra Sicilia e Germania. Il mito positivo dello Svevo resistette anche alla fine del Ventennio proprio perché i pugliesi avevano una storia regionale meno forte che altrove e lui rappresentava un elemento unificante».

Un mito che oggi è usato a fini turistici. 

«Il turismo soprattutto nell’area fra Barletta e Trani punta molto su questo, ma Castel del Monte è un luogo bellissimo senza bisogno di propinare l’immagine falsa di un sovrano precursore dell’ecologia, della tolleranza e del pacifismo, tutti concetti inesistenti nel Medioevo. Un peccato perché così si perde un patrimonio di conoscenza. Nel libro, non do risposte definitive perché la ricerca in questo campo è sempre in evoluzione, ma cerco di restituire al personaggio il ruolo che effettivamente ha avuto nella sua epoca sulla base degli studi di storici e specialisti e gli effetti che ha prodotto successivamente».

Se dovesse indicare la più clamorosa fake news che gira su Federico II, quale sceglierebbe?

«Tutte le bugie su Castel del Monte, come il fatto che non sia un vero castello mentre è inserito in un sistema castellare predefinito e tipicamente medievale o tutti i risvolti esoterici legati a questo luogo, dai Templari al Santo Graal alla piramide di Cheope che avrebbe le sue stesse proporzioni. Sciocchezze prive di senso spesso cavalcate anche da giornalisti di importanti programmi tv. La storia di questo sovrano è già così bella che non capisco il bisogno di inventarsene altre. È giusto, invece, valutare il valore di Federico II di Svevia per la sua capacità di essere un innovatore e il suo desiderio di spostare il baricentro del potere dal centro verso il sud dell’Europa».

 

Contro le fake news su Federico II anche lo storico Raffaele Licinio

Ad accendere la curiosità di Marco Brando sulla figura di Federico II è stato Raffaele Licinio, ordinario di Storia Medievale all’Università di Bari e grande cultore dell’imperatore svevo, scomparso lo scorso anno.

Da studioso attento e preciso, Licinio si è sempre opposto agli stereotipi e alle interpretazioni fanta-esoteriche legate a Castel del Monte, smentendo, per esempio, che fosse stato costruito come una sorta di modello in scala della piramide di Cheope o per custodire il Graal che etichettava come una “stupenda invenzione letteraria”.

Furono proprio lui e Franco Cardini a firmare, rispettivamente, postfazione e prefazione del precedente saggio di Brando del 2008, dedicato all’imperatore, “Lo strano caso di Federico II di Svevia. Un mito medievale nella cultura di massa”, edito da Palomar, che gli scatenò contro tante critiche soprattutto nella zona fra Barletta e Trani, vicina a Castel del Monte.

Questa seconda opera, invece, si avvale dei contributi di altri due importanti medievisti, Giuseppe Sergi e Tommaso di Carpegna Falconieri, e ripropone in appendice gli scritti di Licinio e Cardini presenti nel precedente volume, ormai introvabile.

I. Mar.    

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