Che bella la scienza trionfante di fine Ottocento: luce e civiltà contro oscurantismo, tra battelli a vapore e piroscafi, la pila di Volta, il telegrafo, la lampadina di Thomas Edison. Che bello il traforo del Moncenisio, che invece passa sotto la Punta del Fréjus ma, tant’è, il nome sbagliato è rimasto. C’è di tutto nel Gran Ballo Excelsior di Luigi Manzotti, su musica di Romualdo Marenco, andato in scena per la prima volta al Teatro La Scala di Milano l’11 gennaio del 1881. Un “gran ballo italiano” in sei parti e undici quadri, a celebrare la vittoria del Progresso: sul palco, un corpo di ballo di centocinquanta elementi, per uno spettacolo patriottico ed esagerato; tripudi di lampadine e bandiere tricolori, a proseguire una tradizione allegorica squisitamente settecentesca ed esaltare la Ragione, la crescita culturale, in odor di massoneria (e, neanche a farlo apposta, massone era Marenco).
La formula funziona a meraviglia, l’incasso della prima anche: seimila lire, un vero record per l’epoca. Lo spettacolo resta in cartellone consecutivamente per 103 date. Il Ballo Excelsior diventa un evento internazionale: nel 1889 viene portato all’Esposizione Universale di Parigi; nel 1913 ne fanno un film (regia di Luca Comerio) e un’altra ricostruzione filmata (con sonoro) è visibile nella pellicola Altri tempi che Alessandro Blasetti realizza nel 1952. Fu l’editore musicale Lorenzo Sonzogno a incaricare Comerio per la versione del 1913: ne rimane solo un frammento, ricostruito con molte difficoltà, ma è certo che – per le riprese – il regista potè affidarsi alla collaborazione di un altro grande pioniere dell’arte filmica italiana, Attilio Prevost; quest’ultimo mise a punto uno speciale dispositivo foto-ottico che consentiva al direttore d’orchestra di sincronizzarsi con la pellicola. Il balletto sarà poi ricostruito anche nello sceneggiato Cuore di Luigi Comencini (1984).
Ballo Excelsior rimane in scena fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Avrà nuova vita, in una versione modernizzata e ridotta nell’organico, dagli anni Sessanta del Novecento: prima per il Maggio Fiorentino, poi all’Arena di Verona e – sul finire del secolo – per l’Accademia Nazionale di Danza di Roma e per il Teatro della Tosse. Nel Duemila – per festeggiare l’arrivo del nuovo millennio – sempre lui, l’Excelsior, torna alla Scala: ancora un’apoteosi, con Roberto Bolle, Massimo Murru e Isabel Seabra. Forse illusione, forse nostalgia per le magnifiche sorti e progressive: eppure Leopardi ci aveva avvisato.