DAILY IL NUMERO

2.500
I resti del DC9 Itavia

Tanti sono i pezzi di una carcassa che si chiama “memoria”

Sono 2.500 i resti del DC9 del volo Itavia 870 partito da Bologna e diretto a Palermo il 27 giugno del 1980 e abbattuto sui cieli di Ustica, recuperati in fondo al mare ad uno a uno a 3.600 metri di profondità. Quattro anni di immersioni per depositare i rottami sulla terraferma in un hangar a Pratica di Mare. I rottami successivamente trasferiti a Bologna sono diventati una installazione permanente al Museo per la Memoria di Ustica – 15 tonnellate per 31 metri di lunghezza: lamiere contorte, sedili, oblò, ingranaggi,  bobine, oggetti personali.. “Misurare gli squarci, sentire il peso del vuoto, entrare dentro ciò che rimane è difficile, ma è un modo per restare in contatto, stabilire una invisibile vicinanza, scambiarsi una carezza simbolica…”-

Oggi l’installazione permanente di Christian Boltanski al Museo per la Memoria di Ustica di Bologna circonda i resti del DC9 abbattuto il 27 giugno 1980 mentre si dirigeva verso l’aeroporto di Palermo. Il relitto dell’aereo passeggeri viene mostrato nella cornice suggestiva ed evocativa che l’artista francese ha generosamente e appositamente creato per la città. Le 81 vittime della strage sono ricordate attraverso altrettante luci che dal soffitto del Museo si accendono e si spengono al ritmo di un respiro. Intorno al velivolo ricostruito 81 specchi neri riflettono l’immagine di chi percorre il ballatoio, mentre dietro ad ognuno di essi 81 altoparlanti emettono frasi sussurrate, pensieri comuni e universali, a sottolineare la casualità e l’ineluttabilità della tragedia.

Nove grandi casse nere sono state disposte dall’artista intorno ai resti riassemblati del DC9: in ognuna di essa sono stati raccolti decine di oggetti personali appartenuti alle vittime. Scarpe, pinne, boccagli, occhiali e vestiti che documenterebbero la scomparsa di un corpo, rimangono così invisibili agli occhi dei visitatori. Solo le loro immagini sono state ordinatamente impaginate da Boltanski nella “Lista degli oggetti personali appartenuti ai passeggeri del volo IH 870”, una pubblicazione che, coinvolgendo lo spettatore direttamente nella memoria dell’avvenimento, lo vede protagonista nella ricostruzione della verità.

Il 27 giugno 1980 parte da Bologna, dall’aeroporto Guglielmo Marconi, il volo Itavia 870 Bologna-Palermo; sono le 20.08, due ore dopo l’orario previsto. L’arrivo è programmato per le 21.15. Non ci sono problemi: il DC 9 viaggia regolarmente, con a bordo 81 persone, 64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi e 4 uomini d’equipaggio. Durante il volo non è segnalato alcun problema, ma poco prima delle 21 del DC 9 si perdono le tracce radar. La mattina dopo tutti i giornali riportano notizie della tragedia e si cominciano anche a fare le prime ipotesi sulle cause del disastro. Passano i giorni; la lettura dei giornali ci permette di capire le prime inquietudini: «Il silenzio delle autorità alimenta i sospetti di una collisione. Forse i radar della Nato hanno “visto” la tragedia del DC 9 scomparso in mare», «Il DC 9 Itavia aveva strutture logore oppure è stato investito da ‘qualcosa’».

Poi in fretta di Ustica non si parla più. Scende sulla vicenda un lungo silenzio fino al 1986 quando un appello al Presidente della Repubblica viene inviato da Francesco Bonifacio, Francesco Ferrarotti, Antonio Giolitti, Pietro Ingrao, Adriano Ossicini, Pietro Scoppola e Stefano Rodotà. Si chiede che «qualsiasi dubbio anche minimo, sull’eventualità di un’azione militare lesiva di vite umane e di interessi pubblici primari sia affrontato».

Viene fondata anche l’Associazione dei parenti della vittime della strage di Ustica perché, ricorda Daria Bonfietti «appariva sempre più chiaro che coloro che lottavano contro la verità esistevano, erano esistiti fin dagli istanti successivi il disastro e operavano a vari livelli, nelle nostre istituzioni democratiche, per tenere lontana, consapevolmente la verità».

Ustica dunque deve rimanere nelle nostre coscienze, con tutto il suo carico di interrogativi, come un grande bisogno di verità.

Le indagini procedono a rilento: solo il 16 marzo 1989 il primo collegio peritale, nominato nel novembre 1984 – a quattro anni dalla tragedia -consegna al giudice istruttore Bucarelli la sua relazione. I sei periti che compongono il collegio rilasciano alla stampa una breve dichiarazione: «Tutti gli elementi a disposizione fanno concordemente ritenere che l’incidente occorso al DC9 sia stato causato da un missile esploso in prossimità della zona anteriore dell’aereo. Allo stato odierno mancano elementi sufficienti per precisarne il tipo, la provenienza e l’identità». Ricevono dal giudice il compito di proseguire le indagini per identificare il tipo di missile, ma le forti pressioni fanno vacillare le iniziali certezze investigative: due periti su sei non sono più certi del missile. Poi, a seguito di uno scontro con l’onorevole Giuliano Amato, che ha seguito la vicenda come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Bucarelli abbandona l’indagine, che viene affidata al giudice Rosario Priore.

Con il passare del tempo l’opinione pubblica diventa protagonista di un’ampia mobilitazione che porta il Parlamento ad interessarsi direttamente della vicenda con la Commissione Stragi, presieduta dal compianto senatore Libero Gualtieri, che approva nell’aprile del 1992 una relazione: «Per la Commissione è possibile indicare al Parlamento le responsabilità delle istituzioni militari per avere trasformato una ‘normale’ inchiesta sulla perdita di un aereo civile, con tutti i suoi 81 passeggeri, in un insieme di menzogne, di reticenze, di deviazioni, al termine del quale, alle 81 vittime, se ne è aggiunta un’altra: quell’Aeronautica militare che, per quello che ha rappresentato e che rappresenta, non meritava certo di essere trascinata nella sua interezza in questa avventura».

Il 15 maggio 1992 i generali, ai vertici dell’Aeronautica all’epoca dei fatti, sono incriminati per alto tradimento, «perché, dopo aver omesso di riferire alle Autorità politiche e a quella giudiziaria le informazioni concernenti la possibile presenza di traffico militare statunitense, la ricerca di mezzi aeronavali statunitensi a partire dal 27 giugno 1980, l’ipotesi di un’esplosione coinvolgente il velivolo e i risultati dell’analisi dei tracciati radar, abusando del proprio ufficio, fornivano alle Autorità politiche informazioni errate».

Nei primi mesi del 1994 vengono resi noti i risultati delle perizie ordinate dal Giudice Priore. Queste perizie parziali, che dovrebbero essere le fondamenta della perizia conclusiva, escludono che sul DC9 sia esplosa una bomba. Non ci sono tracce di esplosione sui cadaveri, non ci sono segni di “strappi” da esplosione sui metalli, le analisi chimiche non danno spazio all’ipotesi di una bomba e anche gli esperimenti e le simulazioni di scoppio danno risultati negativi. Invece, alla fine del luglio 1994 gli stessi periti si pronunciano per la bomba, anche se poi non sanno dire come era fatta, né dove era collocata. Ma per i pm Coiro, Salvi e Rosselli e lo stesso giudice Priore, «il lavoro dei periti d’ufficio è affetto da tali e tanti vizi di carattere logico, da molteplici contraddizioni e distorsioni del materiale probatorio da renderlo inutilizzabile». Restano comunque molti dubbi sull’attività di quei periti, alcuni dei quali sono stati estromessi, per indegnità, dal loro ruolo proprio dal giudice istruttore che li aveva nominati.

Le indagini si concentrano allora sullo scenario radar, e per capire la situazione di un cielo che si vuol far credere vuoto da ogni presenza di aerei militari si chiede anche la collaborazione della Nato.

E così, a fine agosto del 1999, il giudice Rosario Priore concludendo la più lunga istruttoria della storia giudiziaria del nostro Paese può sentenziare «l’incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento». Dunque c’era la guerra, quella notte del 27 giugno 1980 nel cielo di Ustica e il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto.

Nell’ottobre del 2000 inizia il processo davanti alla terza sezione della Corte d’Assise di Roma contro i vertici dell’Aeronautica che nell‘aprile 2004 vengono assolti per prescrizione; si riconosce comunque che hanno omesso di riferire alle autorità politiche i risultati dell’analisi dei tracciati radar di Fiumicino/Ciampino – (i nastri di Ciampino sono quelli in cui tanti, negli anni successivi, hanno poi visto la presenza di una manovra d’attacco al DC 9) – conosciuti nell’immediatezza della tragedia, e hanno fornito informazioni errate alle autorità politiche escludendo il possibile coinvolgimento di altri aerei militari nella caduta dell’aereo civile.

Intanto però la maggioranza ha cancellato dal nostro ordinamento il reato di alto tradimento – o meglio lo ha mantenuto soltanto nel caso che ci sia uso della forza – e quindi è abbastanza scontata la successiva assoluzione in Appello, poi confermata, all’inizio del 2006 dalla Cassazione.

Di fronte questa conclusione processuale, ha commentato Maurizio Costanzo: «Dopo 26 anni veniamo informati che l’abbattimento di un aereo ad Ustica, che ha provocato tanti morti, non ha nessun colpevole».

Nel Marzo 2008 la magistratura ha riaperto l’inchiesta.

(fonte www.museomemoriaustica.it )