Chiuso dentro un confine stava stretto Alexander Langer, che per sé coniò un’espressione strana, un po’ inconsueta: quella di “Saltatore di muri”. Ecco, è questa espressione che si può leggere sulla copertina del libro a lui dedicato, curato da Grazia Barbiero (Il Premio internazionale Alexander Langer alla Camera dei Deputati 1997-2017).
Il libro è stato presentato a Montecitorio durante una cerimonia, che costituisce il prologo istituzionale con cui, a Bolzano, verrà conferito il “Premio Langer” di quest’anno, il ventunesimo della serie, all’Istituto Aravà per le Scienze Ambientali. Scelta con un proprio significato evidente: in un’oasi del deserto del Neghev, le donne e gli uomini di Avorà stanno realizzando, con volontari arrivati da molte parti del mondo, un progetto che tiene insieme i due aspetti essenziali dell’esperienza di vita di Langer. Ovvero la passione per la salvaguardia dell’ambiente e il confronto pacifico tra le culture e le nazioni, qui nella sua configurazione più difficile: il dialogo tra israeliani e palestinesi.
Alexander era davvero un saltatore di muri, oltre che mediatore, costruttore di ponti, esploratore di frontiera. E, a ventitré anni dalla morte, la sua lezione di vita è ancora drammaticamente attuale nei tempi che stiamo vivendo.
I muri, Langer, cominciò a saltarli nella sua piccola patria, il Sud Tirolo, quando, all’inizio degli anni ’80, ingaggiò una dura lotta contro la pretesa delle autorità di ingabbiare, una volta per tutte, le appartenenze linguistiche dei cittadini di quell’angoletto d’Europa. Fu la prima, e non l’ultima, battaglia persa, anche se qualche buon frutto quell’iniziativa, negli anni successivi, l’avrebbe prodotto. Comunque, quel rifiuto delle frontiere, fisiche, linguistiche, ma soprattutto culturali e mentali, lo portò, prima e dopo l’esperienza di deputato dei Verdi nel Parlamento europeo, a viaggiare attraverso le molte e difficili crisi d’Europa, nelle regioni in cui le resistenze contro le libertà si manifestavano e si incattivivano, dove la politica e le armi innalzavano barriere e distruggevano ponti.
Era stato a Praga, a sostenere la primavera, a Mosca, ad appoggiare la fragile democratizzazione, nell’Albania delle emigrazioni bibliche, in Israele e in Palestina, quando i conflitti precipitavano in guerre e morti. Nelle conferenze internazionali sul clima e sull’ambiente, portava le ragioni dei Verdi e in ogni politica che proponeva c’era sempre un’attenzione speciale, una sensibilità acuta e partecipata alle ragioni di uno sviluppo misurato sull’uomo. Si debbono anche a lui le considerazioni innovative sul rapporto tra ambiente, crescita e sviluppo, che furono al centro della Conferenza dell’Onu a Rio de Janeiro nel ’92. L’inizio di un cammino che sarebbe stato presto interrotto dagli egoismi dei governi e dai nazionalismi redivivi.
La follia dei nazionalismi fu il grande nemico di questo intellettuale, che aveva una patria che amava, ma si sentiva, nel senso più proprio e meno retorico, cittadino d’Europa e del mondo. E quella follia si fece guerra, distruzione e morte nella grande crisi della dissoluzione della Jugoslavia. Le guerre nei Balcani avvelenarono gli ultimi anni di vita del giovane Langer che, come accade agli intellettuali veri, sentiva su di sé il peso delle contraddizioni del mondo.
Insieme con altri esponenti della galassia dei Verdi e della Sinistra europea, Langer si impegnò molto, nel Parlamento europeo e fuori, perché si mettessero in piedi mediazioni internazionali in grado di riportare lo scontro tra i nazionalismi feroci alla ragione del dialogo senz’armi. Fu un’altra sconfitta. E forse, è da considerarsi un favore della storia che l’atto con cui Alexander mise fine alla sua vita, il 3 luglio del 1995, fosse avvenuto solo otto giorni prima del massacro di Srebenica, l’infame barbarie che, se fosse stato ancora vivo, gli avrebbe messo sotto gli occhi, insieme, la terribile intensità dell’odio nazionalista e l’impotenza della comunità internazionale, la cui iniziativa lui non aveva mai cessato di invocare.
L’elenco delle persone e delle organizzazioni cui è andato il Premio Langer, istituito due anni dopo la sua morte, curato dalla Fondazione che porta il suo nome e organizzato dalla Camera dei deputati grazie anche all’appassionata dedizione di Grazia Barbiero, percorre la storia dell’impegno dei costruttori di ponti e dei “saltatori di muri” degli ultimi vent’anni: da chi si è battuto contro la repressione e per la tutela dei diritti umani, ai protagonisti delle difficili mediazioni di pace nelle regioni tormentate dalle guerre civili, ai promotori di progetti ambientali basati sul rispetto e la valorizzazione della natura e degli uomini.
Una lettura che può insegnare molto. E anche scaldare un po’ i cuori in questi tempi freddi.