DAILY LA PAROLA

Casa

La casa è il luogo più sicuro, più amato e più stabile della vita, dove ci si può rifugiare e costruire trame sicure della nostra incerta esistenza

«Quando pensiamo alla parola casa, si materializzano sorrisi, rimpianti, dolori, odori, gesti elementari e segreti depositati nella nostra mente grazie alla consuetudine che solo la quotidianità può generare. La casa non è più solo un luogo definito ma è diventata un nuovo paesaggio, uno spazio pubblico in cui si realizzano le nevrosi e le idiosincrasie contemporanee attraverso cui cercare di leggere frammenti possibili della nostra vita futura». Luca Molinari, in Le case che siamo ribadisce l’importanza che hanno le emozioni legate alla nostra casa, sia come ricordo che come proiezione futura.  Esistono nella parola casa tutte le coniugazioni dei tempi: dal trapassato, al passato, al presente e al futuro. Questo perché, più che mai in questo tempo, non si può evitare di confrontarsi con una parola così semplice, familiare, naturale.

La casa è il luogo più sicuro, più amato e più stabile della vita, dove ci si può rifugiare e costruire trame sicure della nostra incerta esistenza. È la memoria più resistente, fatta di azioni quotidiane, che ci sostengono in un tempo di continuo cambiamento. È proprio qui che si ricerca la propria identità, si ricorda la propria infanzia, si proietta il proprio futuro nelle generazioni che ci seguiranno.

La casa – purtroppo mancata – per milioni di migranti che richiedono asilo. Nella loro memoria o su una connessione attiva, i pochi ricordi di una casa smaterializzata che li accompagna nel viaggio, alla ricerca di una nuova realtà, in un luogo dove ritornare a vivere e far rivivere la propria dimora.

La casa come rifugio, desiderio di borghesi e non, di tutto il mondo;  come scena di un delitto, come cenacolo di nevrosi domestiche, come luogo universale in cui ripensare a se stessi e al mondo; come comprensione di se stessi e trasformazione del mondo. La casa che non metteremo mai in discussione, anche se la sua natura cambia radicalmente.

Riflettere su questo concetto serve a ridare valore a uno dei fondamenti della vita privata e pubblica. In un tempo in cui le parole non riescono più ad esprimere i fenomeni e i cambiamenti, ricostruire il vocabolario, ridare senso alla nostra consapevolezza e alle nostre azioni, è l’unico modo per riappropriarsi di un tempo e di una realtà che ha valore. Partire dalla casa, forse proprio da quella che distrattamente abitiamo, comporta la scelta di ritornare a gesti primari, che hanno dato valore ai nostri luoghi.  Ogni volta che abitiamo un posto, lo trasformiamo e lo condividiamo con altri. Acquisire questa consapevolezza, significa gettare le basi per una trasformazione della realtà che attraversiamo sempre più nomadi e distratti, per un mondo da cui arriva una richiesta di cambiamento urgente e radicale.

Abitare è anche l’abito che portiamo, che ci rappresenta come persone e cittadini, che ci protegge e che filtra la nostra dimensione pubblica da quella privata. Oggi sembra che lo spazio casa, sotto la pressione di una società liquida, abbia ridotto i momenti di distacco e di silenzio. La barriera artificiale tra pubblico e privato è meno efficace, rispetto ai secoli scorsi. Per non correre il rischio di essere travolti da questa metamorfosi, ogni giorno più visibile, occorre pensare alla casa come a uno spazio complesso in cui desideri, tempo, umanità, creatività e tecnica si fondano e, nel bene e nel male, condizionano la vita. La casa è, e dovrebbe essere, uno spazio privato, dove la personalità di chi la abita possa trovare liberamente espressione. Un luogo universale, da vestire non universalmente, ma personalmente.

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