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Genova: San Pietro in Banchi, la chiesa che unisce sacro e profano

Genova “la superba”. Come Roma “la santa”, Bologna “la dotta”, Firenze, “la bella”, Venezia “la ricca”, secondo un antico proverbio francese. Del resto, per 800 anni, Zena come la chiamano in dialetto i suoi abitanti, è stata la più grande città marittima d’Europa, una repubblica indipendente, prospera e fiera. Qui, è nato nel 1407 il Banco di San Giorgio, l’istituto di credito più antico del mondo.

La sua potenza era tale da chiamare “superba” la città dei caruggi e delle creuze, della croce di San Giorgio e della Lanterna che, dall’alto dei suoi quasi 80 metri domina il Porto Antico. Genova con la Biosfera e il Bigo di Renzo Piano, con la magnificenza del Duomo e del Palazzo ducale, la ricchezza dei Palazzi dei Rolli, la miseria dei vicoli che scendono verso il mare, il fascino di uno dei centri storici più grandi e più belli d’Europa, in gran parte patrimonio dell’Unesco, come si legge in uno striscione all’inizio della famosa via San Luca.

E proprio nel cuore della città vecchia, in piazza Banchi, a due passi dal Porto Antico, si trova San Pietro in Banchi, una delle chiese più particolari della città, unica per la sua storia, per la sua architettura e per quello che ha rappresentato quando è stata costruita. Arrivando da via San Luca, quello che si presenta agli occhi è uno spettacolo che non si vede altrove: una piccola piazza chiusa sul lato opposto da questa costruzione altra e stretta, che non sembra neanche una chiesa. Sopraelevata rispetto al livello della piazza, è eretta su un basamento che ospita alcune botteghe; il porticato è sormontato da una facciata affrescata su cui si apre una doppia fila di tre normali finestre, la cupola dell’abside si può solo intravedere guardandola dal basso.

foto Lina Senserini

Il «sacro e profano», per citare De André, che permea tutta Genova, qui diventa architettura. San Pietro in Banchi, infatti, è di certo l’unica chiesa al mondo costruita con i proventi delle attività commerciali e per volontà del potere politico, la Repubblica, di cui era proprietà. Ragione per cui il basamento ancora oggi ospita alcune botteghe.

Del resto, piazza Banchi si chiama così perché, fin dal 1100, ospitava i banchi dei cambiavalute al servizio dei numerosi mercanti e marinai che giungevano a Genova da ogni parte del mondo e si recavano nella piazza per smerciare i propri prodotti. E qui sembra sia nato anche il termine bancarotta (la cui paternità Genova si contende con Venezia), che trae origine dalla pratica medioevale genovese di rompere il banco di legno del banchiere divenuto insolvente.

Sacro e profano, appunto: si dice che gli angeli della volta sopra l’altare della chiesa siano stati scolpiti deliberatamente senza veli per far dispetto alla Curia. All’interno, nella cappella di destra troneggia una statua in gesso di Cristo, senza mani. Recuperato nello studio di un marmista è diventato l’emblema della preghiera di un anonimo fiammingo del XV secolo: «Cristo non ha mani / ha soltanto le nostre mani / per fare oggi le sue opere».

foto: Lina Senserini

Al centro della piazza di fronte alla chiesa, una mattonella annerita indica il punto dove venne arsa viva, nel 1630, la “Cagna corsa”, come veniva chiamata la giovane Cattarina, originaria di Rapallo, mandata al rogo dall’Inquisizione con l’accusa di stregoneria. C’è chi giura che il suo fantasma sia tornato a visitare Rapallo e la città in cui fu mandata a morte. Mezzo secolo dopo, sull’imponente scalinata che conduce all’ingresso della chiesa, venne assassinato il musicista Alessandro Stradella, pare su mandato di Giovan Battista Lomellini, rampollo di una delle famiglie aristocratiche più influenti di Genova, che sospettava una relazione tra la sorella e il compositore. Infine, la leggenda vuole che nei locali del basamento della chiesa, si oda il lamento di un bimbo dei Lomellini, morto durante un incendio.

La soluzione, più unica che rara, delle botteghe ospitate nel basamento, invece, è legata alla storia dell’edificio. Prima della attuale, esisteva un’altra chiesa del IX secolo, distrutta da un incendio nel 1398. Sulle macerie dell’edificio religioso, il Doge Giannotto Lomellini volle far costruire il proprio palazzo nobiliare. Tuttavia, nel 1572, alla fine di una pestilenza che aveva flagellato la città e per un voto alla Madonna, il Doge fece abbattere il palazzo e dette ordine di ricostruire la chiesa. Il progetto fu affidato all’architetto Bernardino Cantone e, caso unico al mondo, venne stabilito di tassare i commercianti (che in questo modo ottennero la concessione delle botteghe sottostanti) per finanziare i lavori (terminati nel 1585).

Costruzioni, distruzioni, pestilenze, lotte tra fazioni, voti alla Madonna, denaro e commercio nella storia di questa chiesta straordinaria, che il 15 novembre 1942, subì anche un bombardamento alleato che la distrusse in gran parte.  E il cui destino si intreccia anche con quello della sfortunata pittrice Artemisia Gentileschi (TESSERE ne ha raccontato qui la storia), che visse dal 1620 al 1622 proprio in una delle case a sinistra della chiesa, dove dipinse Lucrezia e Cleopatra, due delle sue opere più importanti e significative.

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