RACCONTI ZIBALDONE

Il ritorno del cavaliere

Queste parole vi giungono da un terra di cenere e fuoco.
Ho nostalgia della mia fragilità e ho pietà della rozza crudeltà dei miei modesti nemici.
Fate tesoro del racconto della mia sorte conducendo in modo accorto la fiducia negli esseri umani.

Un giorno, centinaia di anni fa, in una fredda stanza di un antico castello, seduto al mio grande tavolo di quercia, rompo la ceralacca di una missiva anonima che mi è stata consegnata in gran segreto e…

Il capolettera è grande un pollice e l’inchiostro usato è color ocra.

Un messaggio sfumato su carta vecchia, pregiata, di magazzino abbandonato. Non distinguo bene i segni.

Sono stanco.

Ho avuto molti cavalli, morti di fatica o trafitti da una lancia, ho rotto spade e ho percorso valli colme di corpi che non resusciteranno.

Sono stanco.

Non ricordo più niente, dieci anni di guerra cancellano tutto, il bene ed il male.

Ritrovo un mondo piccolo, inadeguato rispetto alla perfetta geometria di morte che mi ha accompagnato finora.

Mio padre morì qualche anno fa, ma nessun messaggero fu inviato ad avvertirmi.

Dissero che il mio sangue aveva già macchiato la candida neve di una terra maledetta, coperta da nere foreste fumanti, la mia lapide fu eretta frettolosamente nella nebbia.

Ora i vili osservano di sottecchi i miei occhi per scrutare sete di vendetta, parlano con la schiena curva e giurano devozione.

«Tutto è come prima, tutto si sistema», sussurrano con voce servile e, dietro le colonne, si scambiano sguardi d’intesa.

L’inchiostro è color ocra come la sabbia che ricopre le antiche tombe nel deserto, come la terra dei fossati intorno ai castelli sulle colline ai confini d’oriente, ocra come gli occhi trasparenti di una prostituta in una calda stalla di Gerusalemme.

Le parole sbiadite, scritte da mano vile, giurano che mio padre è stato assassinato e che, se voglio conoscere l’autore per vendicarmi, devo cercare un piccolo scrigno ricoperto di velluto verde, nascosto dietro una pietra smossa della parete nord della stanza sulla sommità della torre.

Sorrido per il gioco ingenuo e mi vesto con il vestito rosso da cerimonia.

Mentre salgo la ripida scala della torre mi sento sereno, come non mi capitava da molti anni, so di essere al limitare del mio nome.

Giunto all’ultima stanza in cima, apro una piccola finestra e guardo il cielo. Trovo la pietra e lo scrigno verde.

Solo per un attimo vedo gli occhi gialli del serpente che chiude il sipario sulla mia commedia.

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