Ogni anno, in Italia, si verificano circa duecento decessi nella popolazione anziana per le complicazioni dell’influenza e si stima una possibilità di 219 morti al giorno per malattie da inquinamento. Eppure, molti sono terrorizzati dal Coronavirus, anche se è assolutamente più improbabile esserne contagiati, fino ad eccessi razzisti nei confronti di cittadini con gli occhi a mandorla: pestaggi, minacce, bar e ristoranti gestiti da cinesi disertati. La psicosi da contagio non risulta meno letale del contagio stesso.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità – per definire tutto questo – ha preso a prestito un termine coniato ancora nel 2003 dal politologo David J. Rothkopf (che ne aveva parlato in un pezzo per il “Washington Post”), soprattutto per ciò che concerne l’influenza dei media nella diffusione delle notizie: infodemia. Il neologismo, nella sua sintesi verbale fulminante tra “informazione” ed “epidemia”, è efficacissimo. Serve a sottolineare che, forse, il più grande rischio per la società globale è la deformazione della realtà. Da Wuhan al Giappone, dalle navi da crociera in quarantena al blocco dei transiti aerei, è tutto una rincorrersi di notizie contraddittorie, spesso costruite ad arte per fare ascolto, in alcuni casi corrette e prudenti (esiste pure un buon giornalismo!), in altri per nulla. La globalizzazione del messaggio consente di progettare vere e proprie realtà parallele che, troppo spesso, diventano più influenti di quelle oggettive. È la via attraverso cui si alimentano paure, pregiudizi e panico, ma non solo; è anche la modalità che consente d’indirizzare giudizi di valore ed orientamenti politici. L’infodemia, come un male sottile e radicato, trasforma il reale in una colossale narrazione fantasmatica. Tutto ciò ben prima che il Coronavirus e la paura del diverso turbassero i sonni del mondo.
Solo qualche esempio. Innanzitutto l’effetto Trump, con la sua politica d’esclusione in nome del celebre slogan «America first», che avrebbe arrecato significativi benefici ai cittadini statunitensi. Realtà o narrazione? Viene da chiederselo, dato che – ad una verifica più attenta dei dati socioeconomici U.S.A. – l’inflazione ha continuato a crescere più dei salari e si contano troppi lavoratori poveri, saltuari o disoccupati. l’American Economic Association – nella sua ultima relazione – porta l’attenzione su un’altra tragica epidemia, quella dei suicidi per disperazione, che ha tragicamente fatto aumentare il tasso di mortalità dei bianchi non ispanici del Paese (una follia, se confrontato con il calo di tutti gli altri Paesi dell’Occidente, come è corretto che avvenga con il progredire delle cure mediche).
Ancora, in Italia, per citare un’altra forma infodemica (non ancora risolta). La propaganda sovranista ha dato notizia che, a gennaio 2020, gli sbarchi di disperati sulle coste del Belpaese sarebbero aumentati del 700 per cento. Un dato che potrebbe spaventare come il Coronavirus (che si diffonderebbe, triste più che beata ignoranza, con i prodotti made in China). Se però lo si considera alla luce dei numeri reali, si tratta di mille circa arrivi per mare di richiedenti asilo, a fronte di una perdita di circa centosettamila italiani nell’ultimo anno, a causa della crisi demografica (il saldo tra vivi e morti è, come è noto, negativo). Sono tanti mille arrivi? O sono troppo pochi, per un Paese che ha necessità impellente di forza lavoro giovanile? È l’infodemia, probabilmente – la capacità di deformare il reale secondo una virtualità faziosa – il vero, assoluto pericolo. L’unico battericida, come il sapone per le mani, sembra una buona dose di coscienza critica.