CRITICA MUSICA

Parlare di gay e dire «ho sbagliato»

È il 1976. I Pooh sono famosissimi e amati da un pubblico non troppo impegnato. Coraggiosamente incidono un disco che parla di omosessualità quando il tema è ancora tabù: Pierre. Val la pena riascoltarla. Anche perché più che di omosessualità parla di cosa insegna a uno che aveva pregiudizi. E di cosa quella scelta coraggiosa può lasciare alla coscienza.

È il 1976. I Pooh sono famosissimi e amati da un pubblico non troppo impegnato. Coraggiosamente incidono un disco che parla di omosessualità quando il tema è ancora tabù: Pierre. Val la pena riascoltarla. Anche perché più che di omosessualità parla di cosa insegna a uno che aveva pregiudizi. E di cosa quella scelta coraggiosa può lasciare alla coscienza.

La magia del ripensamento. La capacità di rimuginare ed accorgersi dei propri sbagli anche a distanza di tempo. Di accorgersi dei propri sbagli e di saper accogliere, accettare, anzi, di riconoscere il valore della diversità, di riconoscerlo come più forte del proprio punto di vista. E infine l’amicizia come motore di tutto ciò.

Sono i temi che ci propone una canzone di un gruppo “troppo famoso” per essere considerato “impegnato”, “troppo facile” per meritarsi l’aggettivo “riflessivo”.

Il gruppo è quello dei Pooh, la canzone è Pierre. Esce nel 1976, quando la band ha sulle spalle già dieci anni di musica. Il complesso infatti nasce a Bologna nel 1966 ed è certamente uno dei più longevi nella storia della musica: si è sciolto il 30 dicembre 2016 con un concerto trasmesso in diretta via satellite nei cinema di tutte le città d’Italia che si tiene nella stessa città dove tutto è nato, Bologna.

In realtà la formazione è ancora più antica. L’esordio è nel 1962, un quintetto composto da Valerio Negrini alla batteria, Mauro Bertoli alla chitarra solista, Giancarlo Cantelli al basso, Bruno Barraco alla chitarra ritmica e alle tastiere, Vittorio Costa voce. Ma il nome non è Pooh, è Jaguars. Quando nel 1966 il gruppo, nel quale ci sono già stati alcuni avvicendamenti, cambia casa discografica, si fa i conti con l’esistenza a Roma di un’altra formazione che si chiama Jaguars. E allora, ispirati da Winnie the Pooh, l’orsacchiotto della letteratura per l’infanzia, ecco il nuovo nome.

Cinquantaquattro anni sulle scene e qualcosa come 100 milioni di dischi venduti, un record insuperato per un gruppo italiano. Piccola Katy, Pensiero, Tanta voglia di lei, Noi due nel mondo e nell’anima, Parsifal, Dammi solo un minuto, Chi fermerà la musica, Uomini soli, La donna del mio amico sono i brani che li rendono celebri ed anche di più.

E veniamo a Pierre, scritta nel 1976 da Roby Facchinetti e Valerio Negrini. Clacson e altri rumori del traffico la concludono, dando il senso dell’ordinarietà e di qualcosa che se ne va via, che scorre, passa, come un sottofondo normalissimo di tutti i giorni.

«Penso a te […] Tu già da noi così diverso». È un gay, un compagno di scuola ritrovato molti anni dopo, quando ha scelto di accettare la propria identità, di sentirsi libero di essere quello che è, non quello che gli altri pretenderebbero da lui. E quel coraggio di Pierre ha la forza di rivelare il pregiudizio di chi rideva «di quel tuo sguardo di bambina», di quell’essere «sottile, pallido, un po’ perso».

E allora scatta il rispetto, l’accettazione, di più il riconoscimento che Pierre, solo Pierre, ha la forza di guardare davvero dentro di sé: «resta quel che sei, tu che puoi…».

Non era facile, neanche nel 1976, dopo un decennio di rivoluzioni, di “schiaffi” al pensiero dominante, alla cultura dei più, toccare il tasto dell’omosessualità, della mascolinità messa in discussione. Ed eccoli lì i “romantici” e “gioiosi” Pooh a scardinare, con garbo e delicatezza, la ruggine, il macigno.

È una lezione per il compagno di scuola di Pierre, che ora vorrebbe scusarsi per la sua superficialità, per i retaggi a cui era attaccato dinanzi ad un ragazzino non stereotipato agli altri del suo stesso sesso, diverso come ognuno di noi lo è da un altro.

Ma c’è di più. L’incontro dopo tanti anni porta un imbarazzo bidirezionale, diversamente reciproco: l’uno si era sentito emarginato e discriminato all’epoca, senza forse nemmeno comprenderne i motivi e questo lo ha portato a vergognarsi di ciò che è diventato, l’altro è in imbarazzo di fronte alla propria coscienza ormai adulta. La conseguenza è che Pierre rifugge lo sguardo del suo ex compagno, fino a sentire il bisogno di dileguarsi andando via. Nella sconfitta umana di questo incontro, il messaggio positivo risiede nella malinconica consapevolezza che ha raggiunto l’autore. In questo, la maturità ha giocato un ruolo fondamentale, ma la sensibilizzazione sociale ha avuto la sua influenza.

La scelta del nome Pierre potrebbe essere stata un’esigenza musicale, ma anche no. Un nome che in sé riassume tre aspetti: la delicatezza tipica femminile, la “diversità” per essere un nome non Italiano, la raffinatezza quasi a voler sottolineare il rispetto per quella figura.

Riascoltare oggi il brano è un tuffo nel passato, perché il sound richiama immediatamente all’epoca in cui è stato composto, ma il messaggio, come ho scritto all’inizio, resta profondamente attuale e lo sarà fino a quando non si racconterà ancora del profondo disagio di Pierre, ma della sua gioia di essere al mondo, della voglia di amare e di raccontarsi agli amici davanti ad una birra, di giocare, di truccarsi e sentirsi meravigliosamente bello, di emozionarsi per avere ritrovato un vecchio amico con il quale aveva condiviso gli anni più belli. Il reale superamento del tema ci sarà soltanto quando si scriveranno canzoni su Pierre in quanto Pierre e non saranno per questo considerate canzoni sull’omosessualità.

Pierre, attualmente è un brano da considerarsi desueto. Poche emittenti lo trasmettono e raramente viene riproposto in televisione, ma non ha mai perso la appassionata carica emotiva capace di infondere.

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