DAILY LA PAROLA

Ruppu

La parola siciliana ruppu (nodo) scaturisce dall’intreccio manuale del filo di cotone, di nailon, di corda o di altro materiale flessibile, tirato e stretto dalle estremità (ne sa qualcosa Babbo Natale che in questi giorni ha confezionato milioni di pacchetti), oppure da quelli che si trovano in natura, come i ruppa ‘nto lignu (i nodi nel legno), rotondi, allungati, a spigolo, che sulle tavole piallate dai falegnami, risaltano e profumano di resine.

Ruppa (nodi) prestigiosi, diversi dal semplice ruppu fatto con le stringhe sulle scarpe o il doppio Windsor sulla cravatta, inventati nei secoli dall’uomo ce ne una infinità e, in base alla sovrapposizione o lo spessore, assumono nomi diversi. Realizzarli sembra facile, ma occorre molta esperienza e precisione nel seguire schemi precisi, per l’uso che se ne dovrà fare e renderli sicuri in tutte le applicazioni come avviene in particolare con quelli micron nelle suture chirurgiche.

Di alcuni metodi di annodatura si contendono il primato gli alpinisti, quando imbragati a strapiombo sulle pareti rocciose, sospesi nel vuoto, agganciano chiodi e moschettoni per continuare le arrampicate in sicurezza e agevolare le discese dopo la conquista delle vette. Uno tra tutti il Prusik che rientra ne’ ruppa ca sfìlunu (nei nodi scorsoi) autobloccanti o il Savoia, a forma di otto, raffigurato sullo stemma della casata.
Non sono da meno i ruppa a la marinara (i nodi alla marinara) che, nelle attività navali e non solo, vengono fatti sui canapi, quali il corona, l’ancorotto, l’attracco, il vaccaio e così via. Anche i piccoli Scouts, castori e lupetti, li sperimentano nei loro ludici accampamenti. E che dire della “corda francescana”? Da secoli cinge il saio dei Frati Minori e penzola dal fianco col candore di tri ruppa (dei tre nodi) inestricabili, simbologia terrena di purezza, a voto perenne della castità, dell’obbedienza e della povertà.
Nella vita a tutti capita di districare ruppa tortuosi, a volte per indolenza rinviati, ma che  per un motivo o per l’altro “vengono al pettine” anche se spesso, come recita l’antico proverbio: «’a corda ruppa ruppa ci ‘ncàgghia a cu non ci curpa (la corda nodosa gli capita a chi non ha colpa)» e malgrado l’innocenza, assaliti dall’angoscia, diventa difficile scruppàlli (snodarli).
E in qualche caso succede ai ginecologi districare il cordone ombelicale che rischia di soffocare il nascituro nel tepore della placenta materna, prima del pianto disperato e il definitivo ruppu ‘nto biddìcu (nodo nell’ombelico) che lo legherà all’esistenza. E quante volte, da adulti, l’aorta del cuore crea ‘nruppu fittu ‘ntra lu pettu (un nodo fitto dentro il petto) a bloccare il respiro? Ruppa imprevedibili che ogni giorno si formano con quanto accade nel mondo e stringono nella morsa dell’anima l’umanità sofferente, perché « … è funesto a chi nasce il dì natale».