DAILY LA PAROLA

Struco

Struco: dallo spremere al sintetizzare, il termine ha attraversato i secoli, cambiando significato.

Struco è un termine antico e persistente, che con il démaquillage non ha nulla a che fare, se non – forse – la riduzione all’essenza delle cose. Formidabile è l’ambizione di sintesi dello struco, che il Dizionario Veneto del Boerio (Bibbia degli storici, patiti dell’esegesi e delle curiosità legate al linguaggio) indica in prima analisi come voce del verbo strucàr, ossia “spremere”. L’accezione è dapprima squisitamente culinaria, legata alla preparazione di salse e bevande; come il significato sia poi stato traghettato verso altri lidi, richiede qualche precisazione. Diverse le ipotesi, di cui le più curiose hanno un’origine moraleggiante e liturgica: si narra che un parroco di San Cassian – nel cuore della Venezia storica – abbia riferito (siamo nel diciassettesimo secolo) lo strucàr alle tette delle Carampane, le meretrici che esibivano le proprie grazie al balcone, definendo l’atto già peccaminoso e colpevole. Non di meno, l’Università degli Ebrei del Ghetto veneziano tuonava, per accondiscendere alle leggi suntuarie della Serenissima che imponeva morigeratezza alle donne della Nazione Ponentina, contro i corsetti che struca massa (che stringono troppo le forme). Ancor oggi, la formula carnale ed affettiva Te dago un strucòn!, nella vulgata veneta significa “ti abbraccio”.

Tuttavia, c’è ben altro. Il salto dalla dimensione fisica a quella speculativa è ottocentesco, collegato ad un personaggio simbolo della Venezia post-unitaria: quel Gigio, detto appunto struco, che interveniva in tutte le riunioni pubbliche cittadine e, immancabilmente, commentava: «Ma siòri, cossa cincioné? Ma … e in struco?» (In traduzione: «Cosa andate avanti a spaccare il capello in quattro e a girarci intorno? Ma … alla fin fine?»). In struco, cioè all’osso: la verità spremuta. L’espressione,  da non confondersi con l’operativa Struca el boton!, vale a dire “Forza! Datti da fare!”, è tutta metafisica. Gigio Struco, con le sue istanze di semplificazione, ha finito per connotare in forma e in sostanza tutta l’età contemporanea: dalla dialettica oratoria al titolo ad effetto, il passo è breve.