«Se un giocatore intenzionalmente sgambetta o trattiene un giocatore avversario oppure colpisce deliberatamente la palla con la mano al di qua della linea distante 12 yards dalla linea di porta, l’arbitro, anche su richiesta, potrà concedere alla squadra che ha subito il fallo un calcio di rigore….». Con queste parole veniva dettata la nuova regola del “penalty kick, ovvero del calcio di rigore.
L’idea di introdurre il calcio di rigore era venuta nel 1890 a William McCrum, portiere e membro del Direttivo della Federcalcio irlandese, stanco dei tanti falli di mano effettuati dai giocatori vicino alla porta.
C’era voluto però un anno intero, più precisamente il 2 giugno 1891, perché a Glasgow nel corso della riunione dell’International Football Association Board si decidesse di introdurre ufficialmente la regola, che divenne operativa nella stagione di gioco 1891-92.
A distanza di oltre un secolo dalla sua adozione, il rigore è allo stesso tempo parte della storia del calcio e fonte di infinite discussioni fra i tifosi, che lo reclamano a gran voce o violentemente lo contestano, a seconda che sia assegnato a favore della squadra per cui tifano o di quella avversaria.
Il rigore, sogno e incubo di ogni giocatore di calcio, ha acquistato, fuori dal campo da gioco, il significato più ampio di momento topico in cui si è costretti ad affrontare tutte le proprie paure e agire.
Ma in fondo, come ci dice Francesco De Gregori nella sua canzone La leva calcistica della classe ’68, quello che importa davvero, in campo come nella vita, non è l’attimo in cui si calcia il rigore ma come si gioca tutta la partita.