Dici cheerleading (da cheer, in italiano applauso) e subito, complici i film hollywoodiani, compare davanti agli occhi l’immagine di sorridenti fanciulle che agitano i pom pom ai margini di un campo da baseball, di basket o di football. Ma chi avesse assistito a una partita alla Princeton University il 2 novembre 1898 avrebbe visto un gruppo tutto al maschile, con alla testa lo studente Johnny Campbell, dirigere il tifo del pubblico intonando slogan e cori.
Il cheerleading, dunque, lo sport coreografico che combina ginnastica artistica, danza ed acrobazia, per incoraggiare le squadre nelle competizioni, nasce come disciplina prettamente maschile, anzi, per anni riservata esclusivamente ai maschi. Solo nel 1923 nelle squadre di cheerleading cominciarono ad essere ammesse anche le donne.
Negli anni Settanta del Novecento le cheerleader sono ormai quasi esclusivamente donne e la loro immagine cambia radicalmente con la stagione sportiva 1972-73, quando la famosa squadra di football Dallas Cowboys presenta il suo nuovo gruppo di supporto formato da scatenate ballerine in uniforme bianca e blu. E così nell’immaginario collettivo le ragazze cheerleader, anche se le loro esibizioni sono diventate un vero e proprio sport, praticato a livello agonistico, con rigorosi e impegnativi allenamenti, vengono spesso ridotte a fenomeno folkloristico ai margini delle “vere” discipline sportive.
Il cinema ha contribuito, basti citare il grande successo del film Ragazze nel pallone, interpretato da Kirsten Dunst, che, al pari di altre famose attrici, come Cameron Diaz, Meryl Streep e Jennifer Lawrence, era stata davvero una cheerleader; pochi ricordano che pure importanti uomini politici americani hanno avuto un uguale passato, basti ricordare i presidenti Roosvelt, Eisenhower, Reagan, George Bush Sr e George W. Bush.
