DAILY LA DATA

26 giugno 1924
L’opposizione sull’Aventino

Il 26 giugno 1924, a pochi giorni dal delitto Matteotti, i parlamentari dell’opposizione smisero di partecipare ai lavori del parlamento in segno di  protesta, dichiarando che sarebbero tornati ai lavori della Camera solo quando un nuovo governo non avesse ristabilito le libertà democratiche. Questo almeno è quel che scrive la Treccani, che data la secessione dell’Aventino al giorno successivo, facendola coincidere con la prima seduta di quell’assemblea extraparlamentare. Il momento è caldissimo: le elezioni di aprile avevano dato al fascismo, grazie alla nuova legge elettorale, i due terzi del parlamento, ma con i brogli e le violenze che il deputato socialista Giacomo Matteotti aveva denunciato con un durissimo discorso in Parlamento il 30 maggio; Mussolini, che governava “democraticamente” da un anno e mezzo, non prese molto bene questo discorso. Se abbia dato lui direttamente l’ordine di uccidere il deputato socialista o meno è questione non così rilevante, perché che ne fosse comunque il responsabile politico apparve chiaro subito anche all’opinione pubblica. Dopo l’omicidio di Matteotti il fascismo al potere vacilla, Mussolini si dimette da ministro dell’interno – sebbene non da capo del governo – e  si cosparge il capo di cenere. Tutta Italia sa che è una farsa, ma tant’è: non sia mai che il re improvvisamente si svegli e gli revochi il mandato di governo, come chiedono dai banchi dell’opposizione.

Ci informa Wikipedia che «in base alla nuova legge elettorale (legge 18 novembre 1923 n. 2444, nota come “legge Acerbo”), alla lista più votata a livello nazionale – purché avesse almeno il 25% dei voti validi – venivano assegnati i 2/3 dei seggi in tutte le circoscrizioni, mentre gli scranni rimanenti erano assegnati alle altre liste in proporzione ai voti ottenuti e secondo ordine di preferenza personale. Oltre alla Lista Nazionale (nota anche come “listone”) e alla Lista Nazionale bis, si presentarono sette liste liberali e quattro liste democratiche di opposizione, due liste socialiste, due liste autonomiste (slavi-tedeschi e sardisti) e una lista ciascuna per popolari, comunisti, repubblicani, demosociali ed agrari; la Lista Nazionale, o Listone, comprendeva oltre al Partito Nazionale Fascista (PNF) la maggioranza degli esponenti liberali e democratici (tra cui Vittorio Emanuele Orlando, Antonio Salandra, Enrico De Nicola, che però ritirò la sua candidatura prima delle elezioni), ex popolari espulsi dal partito, demosociali e sardisti filofascisti, e numerose personalità della destra liberale e cattolica italiana: ciò diede la certezza che il Listone sarebbe sicuramente risultato il primo partito, superando il 25% dei voti utile a ottenere i privilegi previsti dalla legge Acerbo; inoltre i fascisti, sicuri di conquistare la maggioranza dei 2/3 dei seggi previsti dalla legge elettorale, allo scopo di diminuire ulteriormente il numero dei seggi riservati alle minoranze, presentarono in varie circoscrizioni, oltre alla lista ufficiale, un’altra lista fascista fiancheggiatrice, detta comunemente Lista nazionale bis, formata dai più estremisti fra gli iscritti al partito e contrari alla collaborazione con la destra moderata».

In quel momento il parlamento quindi era composto da tutta questa bella gente, e qualche scampolo d’opposizione. Va detto che ad abbandonare i lavori del parlamento furono in 123, quindi anche diversi deputati eletti nell’alleanza mussoliniana. Le conseguenze della secessione furono sostanzialmente due: il re si rifiutò di prendere in considerazione le loro richieste, dato che erano fuori dal parlamento nel quale erano stati eletti; Mussolini rimase a governare senza alcuna forma di contrasto politico parlamentare per ben sette mesi, ad eccezione dei parlamentari comunisti che tornarono alla Camera a novembre dello stesso anno. Ad alcuni fu presto evidente quanto insensata fosse stata questa scelta. Per esempio a Giovanni Giolitti, che dichiarò: «L’onorevole Mussolini ha tutte le fortune politiche. A me l’opposizione ha sempre dato fastidi e travagli, con lui se ne va e gli lascia libero il campo».

Come sappiamo, il risultato della secessione fu davvero di senso inverso a quanto sperato, perché Mussolini colse l’occasione della loro assenza per trasformare più velocemente il governo del paese in una dittatura, destituendo infine i deputati secessionisti.