Sono 439.747 i nuovi nati iscritti iscritti all’Anagrafe il 1° gennaio del 2019, ed è il nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia; un dato destinato a migliorare ancora il record demografico negativo del paese. Sempre più sfavorevole, di conseguenza, il cosiddetto saldo naturale – così lo definiscono i demografi -, cioè la differenza tra i nati e i morti: nel corso del 2018 è stato di -193 mila unità.Da cosa dipende questa flessione epocale? Secondo l’Istat il problema è strutturale: ci sino meno potenziali madri, perché la popolazione femminile fertile è diminuita di 900 mila unità in poco meno di dieci anni, tra 2008 e 2017; i figli del baby boom sono usciti dall’età riproduttiva, e le generazioni successive sono meno numerose per via del calo demografico costante, a partire dalla metà degli anni Settanta. La fecondità inoltre si è fortemente ridotta, dato che l’età più fertile è fra i 18 e i 30 anni e di solito si può pensare a riprodursi solo dopo i trenta, se va bene; infine siamo un paese di vecchi, e questi numeri sarebbero ancora più alti se non ci fosse il contributo dei cittadini italiani di origine straniera, che hanno invece un saldo naturale assolutamente positivo, dato che oltre a fare più figli sono anche nettamente più giovani.
La popolazione italiana aumenta anche grazie al numero di nuovi cittadini iscritti all’anagrafe: negli ultimi quattro anni i nuovi cittadini per acquisizione della cittadinanza sono stati oltre 638 mila; senza questo apporto, il calo degli italiani sarebbe stato intorno a 1 milione e 300 mila unità. Il calo demografico riguarda tutte le regioni, ma è più accentuato al centro Italia, dove si registra -5,1% rispetto all’anno precedente. A livello nazionale il tasso di crescita naturale si attesta a -3,2 per mille e varia dal +1,7 per mille di Bolzano al -8,5 per mille della Liguria. Anche Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Molise presentano decrementi naturali particolarmente accentuati, superiori al 5 per mille. Il saldo naturale della popolazione complessiva è negativo ovunque, tranne che nella provincia di Bolzano, dove pare che la qualità della vita sia in generale molto più alta. Poi ci sono i cittadini italiani che emigrano, e sono parecchi e di difficile rilevazione numerica, perché spesso non si cancellano subito dall’anagrafe alla quale sono iscritti; dovrebbero essere presi in considerazione i dati dell’iscrizione ai registri stranieri di chi arriva, anziché quelli di chi si cancella dall’anagrafe italiana.
Un esempio per tutti: secondo Istat, sono emigrate in Germania, fra il 2012 e il 2016, 60.700 persone, mentre per lo stesso periodo l’ufficio federale tedesco ha registrato 274 mila arrivi. Queste partenze, oltre a ridurre il numero dei cittadini, contribuiscono ad aumentare l’età media del paese, dato che la gran parte dei migranti italiani è fra i 18 e i 34 anni. Difficile trattare questo argomento senza la tentazione di interpretare i numeri ad usum Delphini, a quanto pare: se vorrete approfondire questo particolare uso dei dati non avrete che l’imbarazzo della scelta, basterà digitare sul vostro motore di ricerca prediletto l’epica frase: cause della bassa natalità in Italia.
Fra le scemenze che si possono leggere, a parte le teorie complottiste della cosiddetta sostituzione etnica che in sé germinano un declino più grave di quello demografico, la palma va a questa conclusione (se credete cercatela, taggarla sarebbe troppo onore): «Oppure, ci facciamo troppi problemi: forse dovremmo solo fare l’amore e tornare a uno stato selvaggio e spensierato. Siamo italiani, possiamo farcela». WTF, direbbero gli inglesi.