DAILY LA DATA

7 gennaio 2015
Attentato alla sede di “Charlie Hebdo”

Il 7 gennaio 2015 viene assaltata, a Parigi, la sede del settimanale satirico "Charlie Hebdo": l'attentato, di matrice islamica, fa dodici morti e undici feriti.

Si chiamavano Stéphane Charbonnier, detto Charb, Jean Cabut (Cabu), Georges Wolinski, Bernard Verlhac, Philippe Honoré: tutti vignettisti, alcune delle vittime dell’attentato del 7 gennaio 2015 alla sede parigina della rivista satirica “Charlie Hebdo”. Rivendicata da Al-Qā‘ida nella Penisola Arabica (o Ansar al-Sharia), braccio yemenita dell’organizzazione, l’azione terroristica ha ucciso dodici persone e provocato il ferimento di undici.

È la cronaca di una morte annunciata: la testata, settimanale satirico dallo spirito irriverente, fondata nel 1970, pubblica da sempre vignette e articoli caustici sulla politica (specie di destra) e sulle contraddizioni delle diverse tradizioni religiose (Cristianesimo, Islam, Ebraismo). Nove anni prima di quel tragico 7 gennaio, “Charlie Hebdo” ha riproposto una serie di caricature di Maometto uscite sul “Jyllands-Posten”, scatenando polemiche a non finire. I vignettisti, nel 2011, hanno rincarato la dose, uscendo con una striscia dal titolo Charìa Hebdo, gioco di parole tra Shari’a e il nome del giornale. Da quando il sito internet della rivista è stato fatto bersaglio di un attacco informatico, la polizia si è decisa a presidiare regolarmente la sede parigina di “Charlie”.

Tutto inutile. Nonostante i controlli – sono circa le 11:30 del mattino, quel rigido giorno di gennaio – due individui mascherati e armati di kalashnikov irrompono negli uffici del giornale. Si dichiarano combattenti islamici ed intimano alla disegnatrice Corinne Rey di digitare il codice numerico per entrare in redazione. La tengono in ostaggio, poi la lasciano andare. Non risparmieranno i suoi colleghi, sparando colpi al grido di «Allāhu Akbar» (Allah è grande): è una strage. Poi gli attentatori scappano, a bordo di una Citroën C3 di color nero, dopo aver colpito a morte anche Franck Brinsolaro, il poliziotto responsabile della sicurezza. In Boulevard Richard-Lenoir, s’imbattono in un veicolo della polizia, uccidendo anche il brigadiere Ahmed Merabet, 42 anni, musulmano, sposato e padre di due figli. Abbandonata la Citroën nel XIX Arrondissement di Parigi, rubano un altro veicolo. È l’inizio di una fuga rocambolesca; i due attentatori vengono ben presto identificati: sono i fratelli Saïd e Chérif Kouachi, jihādisti di origine franco-algerina.  Verranno uccisi nel pomeriggio del 9 gennaio, durante l’irruzione nella tipografia in cui si sono barricati a Dammartin-en-Goële.

Nel frattempo, la mattina dell’8 gennaio, nella cittadina di Montrouge, a sud di Parigi, un altro terrorista – Amedy Coulibaly, 32 anni, originario del Mali – armato fino ai denti, apre il fuoco contro una volante della polizia. Mentre le forze speciali inseguono i fratelli Kouachi, Coulibaly – anch’egli in fuga – si barrica nel supermercato kasher Hypercacher di Porte de Vincennes, a est della capitale. Prende in ostaggio diciassette persone chiedendo, per il loro rilascio, la liberazione dei due attentatori di “Charlie Hebdo”. Uccide tre cittadini francesi di religione ebraica, mettendo in luce che si tratta di un attacco di matrice antisemita: «Come ti chiami?» urla a Yohan Cohen, commesso ventunenne, e poi gli spara. Anche Coulibaly è destinato a morire in quel supermercato, durante l’assalto delle forze speciali.

Immediate le reazioni di sdegno da parte delle istituzioni; persino il leader del partito sciita Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, condanna l’evento, definendo gli attentatori takfir, cioè “apostati”. L’11 gennaio, per le vie di Parigi, si snoda un corteo di oltre due milioni di persone (tre milioni e mezzo in tutta la Francia), per esprimere solidarietà alle vittime degli attentati e alle loro famiglie; forse la più grande manifestazione nella storia del Paese, a cui partecipano i premier delle Nazioni europee, leader politici e gente comune. Solo pochi mesi dopo, tuttavia, il 13 novembre, sarà la volta del Bataclan.