DAILY LA PAROLA

Albanoeromina

Ormai è una parola sola: più che un duo canoro, un mostro benevolo che veglia sul nostro spensierato Paese

Ogni anno pensi-speri-temi che sia l’ultimo. Poi arrivano le feste, arriva Sanremo,  e tutto ricomincia come prima. Così, anche nell’anno di grazia 2020: “Albanoeromina, passione e complicità a capodanno”, Albanoeromina, felicità sul palco e tutti insieme”, “Albanoeromina tornano insieme, la notizia che tutti attendevano”, “Albanoeromina, il bacio fa il giro del web, per una seconda luna di miele.”

Eccolo, Albanoeromina: il mostro benevolo che veglia da sessanta anni  sul nostro spensierato Paese, è di nuovo scaraventato sul palcoscenico. Il cappelluccio a coprire la pelata, gli occhialetti tondi, la sciarpina risicata, la trippa vescovile, le paillettes extralarge, le mastodontiche mammelle, il collo taurino, le scarpine di Cenerentola.  E infine – tra gli applausi fragorosi – la splendida, accorata melodiosa canzone: «Felicità è tenersi per mano e andare lontano…».

Eravamo bambini, ora siamo vegliardi, e questo mostro ci ha cullato per decenni come nemmeno una  balia amatissima.   L’aspetto, dopo tanto tempo, è quello di un  lamantino, un manatì della tradizione fiabesca, creatura  mite dal muso di vacca e le grandi mammelle. Per il suo canto melodioso, i naviganti omerici lo chiamarono sirena, ed è la stessa sirena che tentò con il suo richiamo  l’astuto Odisseo incatenato all’albero della nave per non essere risucchiato nei gorghi. Eppure, che morte dolcissima sarebbe stata, quella dell’eroe greco, cullato negli abissi dalla melodiosa canzone: «Senti nell’aria c’è già la nostra canzone che va, come un pensiero che sa di felicità…».

Allevato dalla nascita nell’agreste villaggio di Cellino San Marco, il benevolo mostro  genera  – o ha generato – innumerevoli figli, oggi anonimi abitanti del vasto mondo.  Solo della primogenita il pianeta ha menzione: quella sfortunata ragazza scomparsa da decenni, che ogni anno, alle feste comandate, viene rievocata – salvata (“è viva!”) e poi di nuovo persa – per strappare una lacrima furtiva al pubblico addolorato.

Ma dura poco la mestizia.  Ad Est, nel lontanissimo Est delle steppe russe, il popolo vuole allegria e ritmo. Laggiù, Albanoeromina si pronuncia Albinoeromana, sulla Piazza rossa il pubblico esige l’intero repertorio, e giù nel Sud, tra un attacco all’arma bianca e uno spicciativo rastrellamento, le allegre milizie del Donbass  si scatenano ogni giorno nel  guerresco passo del Ballo del quaquà.

Albanoeromina scandisce nel mondo il ritmo dell’eternità italica. Tra cento anni – ma noi non ci saremo – il mostro benevolo sarà ancora scaraventato sul palco del Festival di Sanremo 2120.  Il cappelluccio sformato, il vetro spesso degli occhiali, la sciarpina infeltrita, il ventre flaccido, le mastodontiche mammelle, le paillettes stazzonate, le scarpette sfondate. E soprattutto, il melodioso canto: «Felicità è un cuscino di piume, l’acqua del fiume che passa e che va…».